Cardiomiopatia ipertrofica

La cardiomiopatia ipertrofica è la condizione che vede le pareti del muscolo cardiaco diventare marcatamente più spesse, soprattutto nel ventricolo sinistro.

La cardiomiopatia ipertrofica è una patologia del cuore, che in questi casi prende anche il nome di cuore ipertrofico. Le ricerche mostrano come questa condizione sia molto più comune di quanto non si pensasse: le stime parlano di 1 persona su 500-1.000 colpita da cardiomiopatia ipertrofica, uomini e donne in egual misura, che è presente in tutte le parti del mondo. Per comprenderne la natura, concentriamoci sul muscolo cardiaco e sulle sue caratteristiche.

La struttura del cuore e l’importanza dei suoi componenti

Dietro lo sterno è presente il cuore, l’organo cavo che, fungendo costantemente da pompa, porta sangue ricco di ossigeno e sostanze nutritive a tutte le aree del corpo.

La sua forza è dovuta alla sua componente muscolare, il miocardio, caratterizzato da una particolarità unica: pur essendo striato, si distingue da tutti gli altri muscoli della medesima tipologia per il movimento involontario, generato da impulsi elettrici delle proprie cellule.

Al suo interno, il cuore è diviso dal setto cardiaco in sezione destra e sezione sinistra, ciascuna composta da un atrio (in alto) e da un ventricolo (in basso).
Il sangue viene ricevuto dal cuore attraverso gli atri ed espulso attraverso i ventricoli: durante la fase di rilassamento (diastole) il cuore si riempie di sangue, mentre durante la contrazione (sistole) le cavità cardiache si svuotano.
La direzione corretta del flusso sanguigno è garantita dalla funzionalità delle 4 valvole cardiache.
In questo percorso complesso, ogni elemento deve funzionare a dovere per assicurare la circolazione sanguigna ottimale e di conseguenza la salute dell’organismo.

Ma dunque cos’è la cardiomiopatia ipertrofica e cosa comporta?

Le tipologie di cardiomiopatia ipertrofica

La cardiomiopatia ipertrofica è la condizione che vede le pareti del muscolo cardiaco diventare marcatamente più spesse, soprattutto nel ventricolo sinistro.
In questa area del cuore, l’ispessimento può essere lieve o perfino raggiungere un livello tre volte superiore allo standard: in condizioni normali, il ventricolo sinistro ha uno spessore piuttosto uniforme di circa 10 millimetri, di solito 3 volte maggiore rispetto a quello destro.
L’ipertrofia del muscolo può invece essere distribuita anche in modo non omogeneo nella parete, mentre la cavità del ventricolo sinistro risulta della misura standard oppure ridotta.

Proprio a seconda della gravità di questo aumento di spessore e dei suoi effetti sul cuore è possibile distinguere:
 
  • Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, o con ostruzione, che è presente in circa il 25% dei pazienti. Con “ostruzione” si intende quella all’efflusso di sangue, cioè alla sua fuoriuscita dal ventricolo sinistro. Essa è causata dall’ipertrofia del setto interventricolare e da un’anomalia della valvola mitrale, fra ventricolo e atrio sinistro. Questa valvola risulta di dimensioni maggiori e si muove “a bandiera”, impedendo così al sangue di fluire regolarmente. In genere, il cardiologo riesce facilmente a riconoscerla attraverso l’auscultazione di un caratteristico soffio al cuore, legato al moto turbolento del sangue. In alcuni pazienti essa risulta latente, ovvero si manifesta solo dopo e durante uno sforzo o un pasto molto consistente. Si tratta della tipologia di cardiomiopatia ipertrofica più seria, poiché, se non trattata, può avere un decorso non favorevole
  • Cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva: in questo caso la riduzione del flusso sanguigno che fuoriesce dal ventricolo sinistro è solo modesta.

Anche la localizzazione dell’ispessimento è utile a individuare la tipologia di questa condizione:
 
  • Cardiomiopatia ipertrofica asimmetrica, che implica un’ipertrofia nel solo setto interventricolare, cioè in quell’area muscolare che divide ventricolo destro e sinistro. In caso di aumento di spessore di tutte le pareti ventricolari, si parla invece di ipertrofia concentrica.
  • Cardiomiopatia ipertrofica apicale, in cui l’ipertrofia interessa soprattutto la parte alta (apice) del cuore. È particolarmente frequente nei pazienti asiatici (25%) e specialmente giapponesi, e non è mai ostruttiva. È invece presente soltanto nel 7% degli europei.

Quasi in ogni caso, la cardiomiopatia ipertrofica ha origine genetica: tale caratteristica fa anche sì che le fibre muscolari del cuore siano disposte in modo irregolare.

La patologia viene trasmessa con modalità autosomico dominante: dal punto di vista statistico, ciò significa che la possibilità di trasmissione al futuro figlio è 1 su 2. La mutazione, ovvero l’alterazione del DNA, avviene nei geni legati alla codificazione delle proteine contrattili del miocardio: in particolare, il 70% dei soggetti con cuore ipertrofico presenta mutazioni nei geni MYH7 (delle catene pesanti della Beta-miosina), MYBPC3 (della proteina C che lega la miosina cardiaca), TNNT2 (della troponina T cardiaca) e TNNI3 (della troponina I cardiaca).

Bisogna però sottolineare alcune variabili: prima di tutto, non è detto che il soggetto portatore di mutazione genetica sviluppi la patologia. Inoltre, in alcune rare situazioni la cardiomiopatia ipertrofica non ha cause evidenti, ovvero nessun familiare del paziente ne risulta affetto.
Del resto, non sono stati ancora rilevati con certezza i fattori che possono generare le mutazioni legate a questa patologia.

Proprio la natura congenita della patologia e gli studi sui geni interessati dalla mutazione rivestono una grande importanza in termini di sviluppi futuri della diagnosi: l’evoluzione scientifica sempre in atto si propone di consentire un giorno con facilità l’esecuzione di test del sangue per identificare facilmente la mutazione, fin dall’infanzia e dall’adolescenza.

La cardiomiopatia ipertrofica può presentarsi con sintomi a qualsiasi età: dalla primissima infanzia fino addirittura ai 90 anni. I segni che in genere insorgono non sono esclusivi di questa condizione, al contrario sono molto simili a quelli di altre patologie del cuore e risultano estremamente variabili da persona e persona.
La presenza di un cuore ipertrofico può manifestarsi con questi sintomi:

  • Dispnea, ovvero la mancanza di fiato, che può variare da un livello leggero fino all’obbligo di fermarsi sulle scale a causa del respiro corto.
  • Dolore al petto, che in genere viene stimolato dopo i pasti o l’attività fisica e diminuisce con il riposo, ma non è scontato che segua questo schema.
  • Stanchezza soprattutto durante lo sforzo fisico.
  • Palpitazioni, cioè la percezione di un ritmo anomalo del battito cardiaco, con un battito in più o assente. Talvolta, sono associate a sudorazione, annebbiamento della vista e vertigini.
  • Svenimento (sincope), in assoluto il sintomo più serio, che deve diventare motivo di consulto immediato del cardiologo. Purtroppo, data anche la possibile relazione con altre condizioni, non sempre lo svenimento viene valutato tempestivamente.

È però necessario ricordare che la cardiomiopatia ipertrofica può anche essere asintomatica, dunque non presentare segni evidenti, soprattutto in fase di sviluppo iniziale.
Ecco perché è fondamentale il ruolo della diagnosi.

In caso di cardiomiopatia ipertrofica la diagnosi diventa certa quando il ventricolo sinistro presenta anche soltanto una parete il cui spessore corrisponde ai 15 millimetri o li supera.
Nei casi più seri l’ipertrofia può raggiungere addirittura i 4 centimetri di spessore: in questi soggetti è purtroppo maggiore il rischio di morte improvvisa.
Se l’aumento di spessore è invece minore, fino a 13 o 14 millimetri, si parla di cardiomiopatia ipertrofica solo se sono presenti anche:
  • Anomalie gravi rilevate con elettrocardiogramma;
  • mutazioni genetiche legate all’ipertrofia;
  • familiarità.
Gli esami diagnostici che il medico può prescrivere sono:
  • Ecocardiogramma, il più importante, che attraverso l’utilizzo di ultrasuoni riesce a fornire immagini di tutte le componenti del cuore in modalità non invasiva e consente quindi di riconoscere l’eventuale aumento di spessore muscolare. In caso di sospetta cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, l’ecocardiogramma è il primo esame scelto per fugare ogni dubbio, poiché permette di riconoscere l’ostruzione e l’insufficienza mitralica.
  • Elettrocardiogramma: per rilevare una cardiomiopatia ipertrofica l’ecg è un altro test diagnostico molto utile, in quanto può registrare e mostrare segnali elettrici anomali dovuti all’ipertrofia del muscolo. Non è però risolutivo se eseguito singolarmente, in quanto tali variazioni potrebbero essere connesse anche ad altre patologie. In aggiunta, è anche possibile eseguire una prova da sforzo, per valutare quanto lo sforzo fisico risulti limitato o quanto sia efficace un trattamento, e un holter cardiaco, per registrare possibili aritmie in un determinato arco di tempo.
  • Risonanza magnetica nucleare che può fornire immagini dettagliate del cuore e dei vasi sanguigni con un livello di precisione ancora più elevato rispetto all’ecocardiografia, soprattutto se l’area del ventricolo sinistro interessata dall’ipertrofia non è facilmente visualizzabile.
  • Analisi genetica, con cui è possibile identificare la mutazione associata alla cardiomiopatia ipertrofica. Si preleva il sangue come in un’analisi di routine e si analizza il dna nei globuli bianchi: l’eventuale mutazione individuata permette poi di indagare anche la situazione degli altri familiari
  • Cateterismo cardiaco: in questo caso si tratta di una metodica invasiva e ormai raramente impiegata, che comporta l’inserimento di un piccolo catetere all’interno di un vaso sanguigno fino al cuore stesso. L’esame permette di ottenere informazioni su ossigenazione e flusso del sangue e sulla pressione all’interno del cuore e dei vasi sanguigni.
La diagnosi deve poi portare alla pianificazione del miglior trattamento possibile.

Sono diversi i possibili sviluppi di una cardiomiopatia ipertrofica che non è stata tempestivamente trattata:
  • Aritmie, con conseguente possibilità di esito fatale. In genere le più comuni sono la tachicardia ventricolare breve o non sostenuta e l’extrasistole;
  • fibrillazione atriale, che può essere tollerata da alcuni pazienti mentre può causare sintomi gravi in altri. Gli atri cardiaci si irrigidiscono e restano fermi, mentre i ventricoli si contraggono in modo anomalo: ciò può anche provocare la formazione di coaguli sanguigni, con rischio di ictus;
  • scompenso cardiaco, che comporta l’incapacità del cuore di pompare il sangue necessario a nutrire l’organismo;
Secondo le stime, il rischio di morte improvvisa non è scontato, ma pare soprattutto legato ad alcuni fattori di rischio:
  • Ipertrofia grave (3 centimetri o anche oltre);
  • arresto cardiaco avvenuto in precedenza;
  • sincope non connessa alla funzionalità del nervo vago;
  • Storia familiare di morte improvvisa soprattutto in parenti di giovane età.

La cardiomiopatia ipertrofica va affrontata con una terapia che consenta di alleviare la portata degli eventuali sintomi e soprattutto prevenire il rischio di morte improvvisa nei soggetti più gravi.
Fra le strade che è possibile percorrere vi è la terapia farmacologica, in genere la prima scelta per i soggetti che lamentano dispnea e dolore durante l’esercizio fisico. Questo trattamento può comprendere:
  • Beta-bloccanti che, rallentando il ritmo del battito cardiaco e riducendo la contrazione, influiscono positivamente sulla diastole e sull’entità dell’eventuale ostruzione. In caso di cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva la terapia può comprendere anche la disopiramide.
  • Calcio-antagonisti, come il verapamil, che, in quanto vasodilatatori, agevolano il passaggio del sangue verso il cuore.
  • Antiaritmici, come l’amiodarone, in presenza di aritmie valutate come potenziali fattori di rischio.
  • Diuretici, per i soggetti che presentano dispnea anche con sforzi minimi e non hanno risposto positivamente a beta-bloccanti e calcio-antagonisti.
  • Anticoagulanti, indicati per pazienti con fibrillazione atriale parossistica o persistente in cui si deve quindi ridurre il più possibile il rischio di ictus.
Inoltre, i pazienti con cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva dovrebbero concordare con il medico e seguire una profilassi antibiotica prima di qualsiasi intervento odontoiatrico, così da scongiurare lo sviluppo di endocardite.

Per trattare una cardiomiopatia ipertrofica, soprattutto ostruttiva, l’intervento chirurgico può essere la scelta più indicata quando i sintomi non sembrano attenuarsi con altre terapie.
Fra le diverse tecniche sperimentate, la più frequentemente utilizzata è la miectomia settale, che prevede l’asportazione di una porzione del muscolo ispessito. Tale intervento, che va a migliorare il flusso sanguigno prima ostacolato dall’ipertrofia del setto interventricolare, offre oggi ottimi risultati nel lungo periodo. In alternativa, e talvolta in concomitanza con il cateterismo cardiaco, si esegue un’ablazione alcolica, ovvero l’eliminazione controllata di una piccola area del muscolo attraverso l’iniezione di alcol.

È inoltre possibile impiantare nel paziente un defibrillatore automatico (ICD), soprattutto nei soggetti con ipertrofia grave e quindi a elevato rischio di morte cardiaca improvvisa legata ad aritmie.

Essendo una patologia congenita ed ereditaria, non è possibile pianificare una vera e propria prevenzione, ma è sicuramente possibile prestare la dovuta attenzione ad alcuni fattori come la storia familiare. È quindi ancora più indispensabile sottoporsi a controlli regolari con visite specialistiche presso strutture che assicurino un approccio multidisciplinare.
Le informazioni contenute nel Sito, seppur validate dai nostri medici, non intendono sostituire il rapporto diretto medico-paziente o la visita specialistica.

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