Ospedale Santa Maria - Bari / 19 settembre 2017

La chirurgia correttiva delle deformità assiali degli arti inferiori

La chirurgia correttiva delle deformità assiali degli arti inferiori
Negli ultimi anni in campo ortopedico la chirurgia protesica del ginocchio ha conosciuto una larga diffusione, dovuta non solo all’invecchiamento della popolazione e, quindi, ad una maggiore incidenza della patologia artrosica (gonartrosi), ma soprattutto allo sviluppo di impianti protesici di ultima generazione in grado di ripristinare la biomeccanica articolare, garantendo così un recupero funzionale ottimale.
Sebbene le casistiche internazionali mostrino risultati soddisfacenti nell’80-90% dei casi, il restante 10-20% dei pazienti sottoposti ad un intervento di protesi di ginocchio, va incontro ad una serie di problematiche come la persistenza di dolore, la rigidità articolare, l’instabilità con conseguente impossibilità a riprendere le proprie attività quotidiane, soprattutto lavorative.
 
Questo accade in particolare nei pazienti giovani al di sotto dei 60 anni affetti da artrosi femoro-tibiale in fase iniziale del ginocchio. Tale patologia sopraggiunge a causa di una deformità, congenita o acquisita, dell’asse degli arti inferiori: si parla più frequentemente di varismo e meno frequentemente di valgismo (cosiddette ginocchia ad “X”), quest’ultima patologia è diffusa soprattutto nelle donne. La deformità si accentua con il carico e il peso corporeo, si aggrava progressivamente, causando dolore incoercibile e limitazione funzionale.
 
Oggi il trattamento chirurgico più appropriato è la osteotomia, tibiale o femorale che consiste nel creare una frattura parziale del segmento osseo, successivamente stabilizzata con placche e viti, ottenendo così la correzione dell’asse dell’arto inferiore. Tale procedura rappresenta una prerogativa quasi esclusiva della equipe di Ortopedia e Traumatologia di Ospedale Santa Maria – diretta dal dottor Giovanni Vavalle – che a casi di pazienti selezionati riserva questo trattamento chirurgico conservativo, in grado di preservare la struttura anatomica del ginocchio, e consentendo così un recupero funzionale ottimale.
 
 “L’osteotomia è nata nei primi del 900 per correggere le deformità infantili, poi ha trovato ampio impiego come trattamento del processo artrosico del ginocchio – spiega il dottor Vavalle -  ma lo sviluppo successivo della chirurgia protesica e il relativo entusiasmo sui preliminari risultati clinici, avevano portato ad abbandonare progressivamente l’intervento di osteotomia a favore della terapia chirurgica sostitutiva con una protesi articolare”.
 
In realtà oggi si registra una inversione di tendenza. La revisione dei dati più recenti della letteratura scientifica ha però permesso di comprendere che, soprattutto nei soggetti più giovani, la sostituzione protesica non sempre è in grado di consentire a pieno il ritorno alle attività quotidiane. “Pertanto – prosegue l’ortopedico – abbiamo assistito negli ultimi anni ad una ripresa dell’intervento di osteotomia, non più quindi considerato come una “chirurgia di intervallo” impiegata per rallentare la progressione della malattia, dare un benessere transitorio e procrastinare la protesizzazione”.
 
L’osteotomia risulta dunque essere un intervento molto spesso risolutivo, soprattutto se eseguito precocemente e ripristina una corretta biomeccanica articolare. I pazienti candidabili all’intervento di osteotomia, in genere, devono possedere dei specifici requisiti non solo clinici e radiologici, ma anche di compatibilità con l’età, lo stile di vita e/o l’attività fisica e lavorativa.

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