Diabete di tipo 2, il primo campanello d’allarme è il sangue troppo zuccherato

Diabete di tipo 2, il primo campanello d’allarme è il sangue troppo zuccherato
“In Italia si stimano quasi 5 milioni di malati di diabete. Nel 90% dei casi affetti dal diabete di tipo 2, la cui causa va ricercata in un’origine essenzialmente ereditaria o quantomeno in una ‘predisposizione’ del soggetto. Predisposizione - spiega il Professor Marco Comaschi, specialista in Endocrinologia e Diabetologia, in Iclas di Rapallo - ospedale di Alta Specialità GVM Care & Research accreditato S.S.N., correlata ad altri disturbi del metabolismo e più in particolare ad obesità, alterazioni dei livelli di colesterolo, ipertensione arteriosa”.
 
Professor Comaschi, il diabete è una malattia grave?

Nel diabete di tipo 1, quello che colpisce in età giovanile o addirittura infantile, la malattia nasce a seguito dell’infiammazione del pancreas. Infiammazione che a sua volta provoca la morte delle cellule deputate alla produzione d’insulina, cioè dell’ormone proteico indispensabile all’organismo umano per trasformare il glucosio in carburante di tutto il corpo. La mancanza totale d’insulina va corretta, altrimenti porta a morte. L’intervento terapeutico è pertanto farmacodipendente ed è obbligato. Nel diabete di tipo 2, specie nell’età compresa tra i 45/60 anni, se non si agisce su un’adeguata prevenzione dello stile di vita in persone predisposte alla comparsa della malattia, il primo campanello d’allarme è dato dall’aumento della glicemia nel sangue. Incremento di per sé asintomatico ma che nel tempo conduce ad una precoce aterosclerosi, patologia cronica e progressiva che si ripercuote sull’integrità dell’apparato circolatorio, soprattutto a livello dei distretti principali quali le coronarie (da qui la possibilità d’infarto del miocardio), le arterie irroranti il cervello (con ictus conseguente), i vasi che portano ossigeno agli arti inferiori (vedi l’ischemia del piede), nonché sulla funzionalità dei reni (da cui l’insufficienza renale)”.
 
Esistono dei valori di riferimento della glicemia utili a stilare una corretta diagnosi di diabete?

“In ambito internazionale si è raggiunto un accordo. Alla diagnosi di diabete concorrono valori della glicemia - la concentrazione di zuccheri presenti nel sangue - misurati a digiuno superiori a 126 mg (milligrammi) e ripetuti almeno 2 volte; valori di glicemia ‘casuale’ nell’arco dell’intera giornata superiori a 180 mg (milligrammi) e ripetuti 2 volte. Oppure valori per l’emoglobina glicata - test ematochimico più ‘raffinato’ - superiori al 6% e ripetuti per almeno 2 volte. Va tuttavia aggiunto come i disturbi del metabolismo seguano una propria evoluzione. In certe situazioni incontriamo pazienti dalle caratteristiche indefinibili ma che possiamo comunque ricondurre a quella che una volta veniva chiamata la fase di pre-diabete o, per usare altri termini analoghi, di alterata glicemia a digiuno”.
 
Rispetto alla terapia farmacologica, la ‘sorveglianza’ del diabete di tipo 2 può essere aiutata dall’alimentazione?

“La prima vera cura del diabete di tipo 2, ad iniziare da chi è in forte sovrappeso, è il recupero di un adeguato stile di vita. Senza il quale - chiarisce Comaschi - nessun farmaco è efficace al 100%. In che modo? Attraverso un miglioramento dell’attività fisica; seguendo un’alimentazione attenta - il che non equivale a dieta rigidamente controllata -; moderando la quantità dei cibi assunti”.
 
Perché tra le complicanze più temibili del diabete vi è quello che gli specialisti chiamano “il piede diabetico”?

“Perché il piede è un ‘bersaglio’ per il diabete e costituisce il ‘punto d’incontro’ per diverse complicanze legate alla malattia. Iniziamo dalle già rammentate alterazioni circolatorie: quindi se arriva meno sangue all’arto, il rischio che una microferita s’infetti e si trasformi in ulcerazione è molto alto. Proseguiamo poi con le alterazioni della sensibilità - la Neuropatia diabetica - alla pianta del piede o del piede in generale. Questo deficit di sensibilità si traduce spesso nel non saper più avvertire eventuali callosità il cui continuo ‘stress’ meccanico dei tessuti, derivante dall’appoggiare l’intero peso del corpo sempre su quel punto, finisce con lo sfociare in una ‘perforazione’ e in un’ulcera. Senza dimenticare, infine, la sovrapposizione di processi infettivi sull’ulcera stessa. Fattori che tutti assieme contribuiscono a peggiorare lo status clinico. In simili circostanze, è fondamentale riuscire a riaprire subito la circolazione arteriosa del piede riportando sangue e ossigeno laddove non arriva. E ciò sfruttando le metodiche interventistiche patrimonio del chirurgo vascolare, degli emodinamisti e dell’intera équipe medica dedicata alla cura del piede diabetico”.
 
Un’intera équipe medica?

“Esatto. La cura del piede diabetico è un percorso terapeutico, mi si passi il termine, da svolgere con approccio interdisciplinare. Non partecipa solo il diabetologo, bensì l’emodinamista, il chirurgo vascolare, l’ortopedico, il chirurgo plastico, il tecnico podologo. Figure che convergono, ciascuna per la propria area di competenza, sulla singola persona modulando le priorità, personalizzando gli interventi in rapporto alla valutazione iniziale”.
 
Il diabete è una malattia più maschile o femminile?

“Il diabete fa poca distinzione tra i sessi. La ‘predisposizione genetica’ ci dice che colpisce un po’ di più gli uomini: le donne riservano una maggiore attenzione allo stile di vita. Per il diabete gioca un ruolo sfavorente il fumo, un vizio - oltremodo dannoso - più maschile che femminile. Ma con il passaggio menopausale della donna, le percentuali di malati uomini e malati donne tendono ad appaiarsi”.
 
I medici di medicina generale hanno un ruolo nella prevenzione e cura del diabete?

“Il medico di famiglia avrebbe - conclude il Professor Comaschi - un ruolo imprescindibile. In primis sulla prevenzione primaria. Valutando nel paziente i fattori di rischio può indurlo o meno a modificare/migliorare lo stile di vita che gli permetta di prevenire l’insorgenza del diabete. In seconda battuta interagendo con lo specialista diabetologo. La diabetologia moderna, in accordo con tutti i governi della sanità mondiale, ha evidenziato come il corretto modello di cura delle cronicità nel loro complesso e del diabete nello specifico risieda nel sistema integrato. Ovvero nel sistema in cui il medico di medicina generale e lo specialista integrano, complice la sempre più vasta informatizzazione dei dati medicii disponibili, le rispettive conoscenze/esperienze all’interno di un percorso assistenziale disegnato ad hoc sul paziente. Così da tenerlo costantemente monitorato”. 



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