Due mani per un cuore è un nuovo modo di prendersi cura di chi deve affrontare l'intervento cardiochirurgico nato per
accompagnare pazienti e familiari lungo tutto il loro percorso, dalla preparazione pre-operatoria al recupero post-intervento. L'iniziativa coniuga competenze cliniche avanzate con un approccio umano e personalizzato, volto al cosiddetto empowerment cioè al coinvolgimento attivo del paziente per la sua salute, promuovendo consapevolezza, collaborazione e fiducia.
Ne parliamo con
il Dott. Alessandro Carrozzo, Cardiochirurgo e Responsabile scientifico di
ICLAS di Rapallo, ideatore e coordinatore del progetto.
Dottor Carrozzo, come è nato questo progetto?
Il progetto è nato da un'esigenza concreta riscontrata nella pratica clinica quotidiana.
Molti pazienti arrivano al ricovero con dubbi irrisolti e una comprensione solo parziale delle fasi che li attendono. L'intervento cardiochirurgico è un momento delicato, spesso accompagnato da ansia, incertezza e disorientamento sia da parte del paziente sia dei familiari.
Per questo abbiamo deciso di introdurre
un incontro informativo pre-operatorio come parte integrante del percorso di cura. Un'occasione strutturata per chiarire dubbi, ridurre l'ansia e migliorare la comunicazione tra paziente, caregiver ed équipe sanitaria.
Cosa prevede l'incontro informativo?
Si tratta di una sessione della durata di circa un'ora e mezza, che proponiamo prima dell'intervento.
Durante l'incontro vengono illustrate le principali tappe del percorso chirurgico attraverso una presentazione interattiva. I pazienti sono invitati a partecipare con un familiare o caregiver e possono intervenire con domande e osservazioni.
Si affrontano tutti gli aspetti rilevanti per affrontare l'intervento in modo consapevole: dalla motivazione dell'atto chirurgico ai possibili benefici e rischi, fino alle modalità di recupero. Vengono anche spiegati dettagli spesso trascurati, come la posizione dell'incisione o i sintomi più comuni nel post-operatorio, ad esempio nausea o alterazioni del sonno, che tendono a risolversi spontaneamente. Non mancano indicazioni su come gestire il rientro a casa, riprendere gradualmente le attività quotidiane o ridurre il dolore con posture corrette durante il riposo notturno.
Durante l'incontro forniamo anche una brochure che il paziente può portare con sé e consultare in un secondo momento.
Qual è il ruolo dei familiari in questo percorso?
Fondamentale.
Un caregiver informato migliora significativamente l'esito clinico, contribuendo a ridurre l'ansia e ad aumentare l'aderenza alle indicazioni terapeutiche. L'intervento chirurgico è un evento emotivamente impattante anche per i familiari, i quali spesso notano cambiamenti fisici o psicologici che il paziente tende a minimizzare.
Aiutarli a comprendere che eventuali variazioni transitorie nello stato emotivo o fisico sono risposte fisiologiche allo stress chirurgico permette di contenere l'ansia e sostenere il paziente in modo più efficace, creando un ambiente più stabile e favorevole alla guarigione.
Come viene favorita la consapevolezza nei pazienti?
Rispondendo in modo chiaro e diretto alle loro domande, e offrendo un'informazione accessibile e completa. Il chirurgo illustra la procedura operatoria, mentre il personale infermieristico descrive il percorso assistenziale nel suo insieme, spiegando cosa aspettarsi in terapia intensiva, come sarà organizzato il ricovero, quali norme igieniche osservare e in che tempi è verosimile una ripresa delle attività. Viene spiegato cosa accade nelle prime ore dopo l'intervento, quali dispositivi medici saranno presenti al risveglio, come comunicare con l'équipe e quali sono le indicazioni comportamentali pre e postoperatorie, anche per i familiari.
Quali risultati avete osservato?
Abbiamo avviato una valutazione strutturata dell'efficacia del progetto, tramite scale che misurano il livello di ansia, la consapevolezza e l'aderenza al trattamento, confrontando i dati con quelli di un gruppo di controllo che non riesce a partecipare all'incontro.
I pazienti coinvolti risultano più consapevoli e meno ansiosi, mentre i familiari si dimostrano più collaborativi e informati. Questo ha un impatto positivo sul clima assistenziale, sulla comunicazione con il personale sanitario e, in alcuni casi, anche sul decorso post-operatorio, con un minor ricorso a farmaci ansiolitici. Pur trattandosi di risultati preliminari, i dati sono incoraggianti e confermano la direzione intrapresa.
Questo progetto cambia l'approccio alla Cardiochirurgia?
Sì, perché introduce un cambio di paradigma.
Se curare significa applicare protocolli, tecnologie e competenze cliniche,
prendersi cura vuol dire ascoltare, accompagnare, prestare attenzione ai bisogni individuali. È un approccio integrato, che considera il paziente non solo come portatore di una patologia, ma come persona nella sua interezza.
Tutto il team ha contribuito in modo attivo alla realizzazione del progetto. Anche l'identità visiva, con il logo e il materiale informativo, è frutto di un lavoro interno, curato da due infermiere del reparto. Un contributo concreto, che dimostra come il lavoro multidisciplinare possa tradursi in
un modello assistenziale più umano, efficace e centrato sulla persona.