Ospedale Santa Maria - Bari / 06 febbraio 2023

Giornata nazionale contro bullismo e cyberbullismo, i segnali che devono far sospettare i genitori

Giornata nazionale contro bullismo e cyberbullismo, i segnali che devono far sospettare i genitori
Il 7 febbraio si celebra la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Istituita dal MIUR, il Ministero dell’Istruzione, è un’occasione per riflettere su fenomeni purtroppo sempre più diffusi.

Il bullismo e il cyberbullismo sono caratterizzati da azioni prepotenti, violente e intimidatorie, come molestie verbali, aggressioni fisiche, forme di persecuzione, o da comportamenti di esclusione sociale intenzionali e ripetuti, perpetrati anche online (cyberbullismo).

Secondo l’indagine Istat del 2019 “Indagine conoscitiva su bullismo e cyberbullismo”, in media 1 ragazzo su 4 a scuola subisce atti di bullismo. Queste azioni diminuiscono con l’età, e chi le subisce passa dal 22,5% fra gli 11 e i 13 anni al 17,9% tra i 14 e i 17 anni. Similmente, il 7% dei bambini e delle bambine tra 11 e 13 anni è stato vittima di prepotenze tramite smartphone o web una o più volte al mese, mentre il totale scende al 5,2% tra i ragazzi da 14 a 17 anni. Spesso a subire il cyberbullismo sono gli stessi soggetti presi di mira nella quotidianità a scuola.

Il bullismo, purtroppo, non è facilmente individuabile in una fase precoce, in quanto fino al 50% delle vittime non ne parla con i genitori e fino al 60% non ne parla mai, per timore delle ripercussioni o per vergogna. Per questo, i dati potrebbero essere sottostimati: quando si attiva l’emozione della vergogna, un’emozione sociale, le persone tendono a omettere le risposte alle domande dei questionari.

“Il bullismo, pur non essendo una categoria psicopatologica in sé, è un fenomeno che minaccia seriamente la salute di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, siano essi inquadrabili come bulli, vittime o gregari”, spiega la Dottoressa Chiara Maddalena, psicologa e psicoterapeuta dell’Ospedale Santa Maria di Bari. “Il benessere individuale, familiare e sociale passa da una seria riflessione su questo problema, e dall’adozione di strategie preventive e di cura adeguate. Il confine tra uno ‘scherzo’, un atto di bullismo vero e proprio e un reato, che innesca un iter giudiziario, è, a volte, sottilissimo”.

Con la Dott.ssa Maddalena abbiamo parlato dei segnali che devono far sospettare i genitori, di come comportarsi in questi casi e di cosa la psicologia può fare per aiutare ragazzi e famiglie.

Un fenomeno sempre esistito

“È’ bene riconoscere che il bullismo non è un fenomeno della modernità, è sempre esistito come supremazia animalesca del forte sul debole. Basta pensare al nonnismo presente nelle caserme”, esordisce la psicoterapeuta. “Nell’epoca dei social e dell’informazione di massa, però, con una cassa di risonanza sempre più potente, il bullismo si rivela più complesso e pervasivo. A questo si aggiunge la differente competenza nell’uso delle tecnologie da parte di adulti e ragazzi, che rende più difficile per i genitori comprendere e intercettare precocemente i segnali d’allarme, soprattutto quando gli atti di bullismo vengono perpetrati attraverso la rete”.

Un caso esempio di bullismo

Immaginiamo una situazione in cui un individuo o un gruppo aggredisca un compagno o una compagna con l’intenzione di fargli/le del male ripetutamente. “Tra aggressore/i e vittima si instaura una relazione asimmetrica di potere caratterizzata da violenza fisica o psicologica, minacce, paura, ansia. La vittima non riesce a chiedere aiuto e ad uscire dalla spirale di violenza perché, come il bullo, prova sfiducia nella possibilità degli adulti di comprendere i suoi problemi e di intervenire adeguatamente” spiega la Dott.ssa Maddalena. “Ciò che li unisce è una scarsa autostima che il bullo controlla attraverso i comportamenti violenti nei confronti della vittima, perché quest’ultima incarna tutto ciò che il bullo vorrebbe eliminare in sé stesso, per lasciare posto all’‘eroe”. Generalmente il bullo minimizza, non riconosce la gravità delle sue azioni e, quando ammette i fatti, non mostra sensi di colpa, dispiacere e vergogna. L’altro è considerato un oggetto, non una persona”.

Il lavoro clinico serve a costruire con il ragazzo o la ragazza migliori capacità di mentalizzazione (di comprensione della mente dell’altro, delle emozioni dell’altro), rispetto alle quali il bullo sembra, almeno nei primi colloqui, impermeabile. La vittima stessa sembra diventare impermeabile alle angherie subite: per sopravvivere si consegna al bullo. “Il lavoro clinico, spesso e volentieri, si concentra sulle vittime, presenti o passate, di atti di bullismo. Ma non dimentichiamoci del branco, del pubblico. Non esistono solo carnefice e vittima, ma un pubblico che assiste e non interviene: senza l’approvazione e il plauso del gruppo il bullo non sarebbe tale, e la vittima potrebbe superare isolamento ed esclusione se solo si sentisse appoggiata e difesa dai pari”, aggiunge la psicoterapeuta.

Il cyberbullismo

Il cyberbullismo conserva le caratteristiche peculiari del fenomeno: persiste nel tempo e sottintende una ‘progettazione persecutoria’ da parte di bulli, bisognosi di un pubblico che li ammiri e che li tema nello stesso tempo. “La rete allarga a dismisura gli effetti degli atti di violenza, ingigantendo il peso delle umiliazioni delle vittime. Pensiamo a quello che accade con il revenge porn, che oggi riguarda sempre più frequentemente minorenni, esposti mentre praticano atti sessuali. La vittima è schiacciata non solo dall’attacco del bullo per antonomasia, ma dall’opera denigratoria che sul web, a macchia d’olio, si diffonde e si amplifica, acquisendo nuove voci e nuove espressioni”, sottolinea la dottoressa. “Foto e video della vittima possono essere carpiti con l’inganno e diffusi per deridere e umiliare. Il cyberbullismo permette a chi bullizza di farlo tutto sommato nell’anonimato o quasi: il contatto solo virtuale con la vittima fa sentire meno colpevoli sia i bulli che il pubblico, quasi che lo schermo e la tastiera fossero solo strumenti di un gioco elettronico. Intanto, chi subisce i soprusi si sente privo di scampo e, se non riesce a chiedere aiuto e a riceverlo, tende a chiudersi al mondo, a cadere in uno stato di profonda depressione. Non sono purtroppo rari gli atti autolesionistici e addirittura il suicidio”.

I consigli per i genitori

Il consiglio della Dottoressa Maddalena è quello di osservare i propri figli: “Se si colgono in loro segnali di disagio di vario tipo come silenzi, isolamento, aumentata tendenza al pianto, scarsa autostima, comportamenti alimentari anomali, segni di autolesionismo, a partire dai diffusissimi tagli sui polsi, paura nell’affrontare i coetanei, la scuola, lo sport, è importante parlarne. Parlare con i ragazzi, con i professori, con gli educatori dei propri figli, con il pediatra e, nel dubbio, rivolgersi a uno psicologo o a uno psicoterapeuta”.

Il ruolo dello psicologo

Chiedere aiuto ai professionisti della salute, e farlo in tempo, può evitare gravi conseguenze. La psicoterapia può essere un valido strumento per analizzare la propria storia, riparare profonde ferite, traumi veri e propri, e le relative conseguenze che, per esperienza clinica, impattano ben oltre l’adolescenza sulle vite degli individui e delle famiglie. “È fondamentale che siano i genitori stessi a mettersi in discussione, non solo i ragazzi. Tanto si può fare a sostegno di una genitorialità che nella società in cui viviamo è sempre più complessa e faticosa. La fatica nasce anche da un maggior senso d’isolamento che i genitori provano, a dispetto del moltiplicarsi delle connessioni in rete, causato dal sovraccarico di responsabilità e pericoli a cui ci si sente esposti, dall’indebolimento delle istituzioni. In questi anni di pandemia gli adulti stessi hanno provato un forte senso di sopraffazione e mancanza di prospettiva. Un adolescente ha ancor meno strumenti per affrontare la complessità del mondo e delle relazioni a cui si apre. Per questo accompagnare i ragazzi nel formulare una richiesta d’aiuto psicologico può essere un importante passo nell’ottica della promozione della salute dei nostri figli”, conclude la psicologa.
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Revisione medica a cura di: Dott.ssa Chiara Maddalena

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