In Italia non si arresta il trend negativo che riguarda le nascite. Secondo l’ultimo rapporto Istat pubblicato a dicembre 2022,
le nascite in Italia continuano a diminuire, e arrivano a toccare il
-30,6% rispetto ai valori del 2008. E, se da un lato la denatalità è influenzata dalle
coppie che ricercano la gravidanza in età sempre più avanzata, specialmente a causa delle incertezze lavorative ed economiche, dall’altro l’infertilità non è condizionata solo dall’età della donna e dai requisiti sociali, ma anche da quelli
ambientali. È sempre del dicembre 2022, infatti, la pubblicazione di uno studio tutto italiano che evidenzia
la rilevanza dell’inquinamento sulla qualità del seme.
I dati della
ricerca “FASt” (Fertilità, Ambiente, Stili di Vita), realizzata dal Dott. Luigi Montano, urologo e andrologo, Presidente della SIRU, Società Italiana della Riproduzione Umana, diffusi dall’International Journal of Environment Research and Public Health, costituiscono il
primo studio di biomonitoraggio umano per la ricerca di 26 metalli nel sangue e nello sperma mai effettuato su giovani maschi sani. I 323 soggetti partecipanti, non fumatori, con età media di 19,5 anni, con caratteristiche antropometriche omogenee e stili di vita simili, sono
residenti in tre aree geografiche italiane ad alto tasso di inquinamento ambientale: Brescia-Caffaro, Valle del Sacco e Terra dei Fuochi.
I dati dello studio FASt
Il precedente studio sull’argomento del team sugli stessi dati aveva evidenziato soprattutto gli alti rischi riproduttivi nei giovani che vivono in queste zone, ma anche i benefici sulla fertilità di una alimentazione equilibrata e di un’attività fisica costante.
I risultati della ricerca pubblicati di recente, invece, mettono l’accento sul
liquido seminale come bio-accumulatore, dunque come indicatore dell’esposizione ambientale sensibile e precoce. Le differenze tra i metalli rilevati nei soggetti delle varie aree, infatti, sono maggiori nello sperma e non nel sangue dei campioni.
Nel dettaglio, le concentrazioni di antimonio, arsenico, bario, litio, piombo, rubidio, stagno e stronzio sono risultate da 2 a 10 volte superiori nello sperma rispetto al siero, con differenze marcate tra le zone geografiche prese in considerazione. I metalli rilevati sono legati all’inquinamento industriale, ma anche all’uso di pesticidi (vietati, come l’arsenico) e alle coltivazioni nei pressi di discariche abusive (come nel caso del piombo).
“
L’inquinamento ambientale influenza notevolmente il sistema riproduttivo, soprattutto quello maschile, portando a un accumulo di tossine che modificano la produzione di spermatozoi specialmente in termini qualitativi. Lo zinco, per esempio, ha un ruolo capitale sia nella spermatogenesi e sia nella stabilizzazione della membrana degli spermatozoi e della cromatina nucleare”, spiega il
dott. Pasquale Totaro, Responsabile scientifico del congresso regionale SIRU durante il quale sono stati presentati i dati e
coordinatore della SIRU Puglia, nonché Responsabile del
Centro di PMA dell’Ospedale Santa Maria di Bari. “
Il seme e altri indicatori della fertilità, dunque, potrebbero portare a un nuovo approccio per la valutazione precoce dell’impatto ambientale sulla popolazione, come mezzo di sorveglianza sanitaria e di prevenzione primaria”.
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