Il diabete si combatte a tavola

Il diabete si combatte a tavola
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che il diabete sarà una patologia in continuo aumento, nel mondo e in particolare nei paesi in via di sviluppo, sia per l’innalzamento delle aspettative di vita, sia per il crescente numero di persone in sovrappeso e obese. La ricetta per arginare il dilagare di questa patologia consiste nell’apportare dei cambiamenti alla propria alimentazione e al proprio stile di vita, adottando un regime alimentare corretto e svolgendo una regolare attività fisica.

Il Professor Marco Comaschi, specialista in Diabetologia, Endocrinologia e Medicina Interna ad ICLAS – Istituto Clinico Ligure di Alta Specialità di Rapallo, ha risposto  ad alcune delle domande più frequenti sul diabete.

Il diabete mellito di tipo 2 è la forma di più frequente di diabete, ma secondo i dati dell’OMS è in crescita anche il numero di giovani e bambini con diabete di tipo 1. Quali sono le differenze tra queste due forme?
Il diabete di tipo 1 è una forma meno diffusa, ha origine autoimmune e insorge generalmente nell’età pediatrica o nell’adolescenza. Le cellule beta delle insule pancreatiche, responsabili della produzione dell’insulina, vengono distrutte per un lento processo infiammatorio sostenuto dalla presenza di un’alterata risposta del sistema immunitario. In altre parole l’organismo produce anticorpi contro se stesso, in questo caso contro le cellule che producono l’insulina. 

Il diabete di tipo 2, noto anche come “diabete dell’età matura”, è dovuto da una duplice anomalia: il deficit parziale nella produzione dell’ormone insulina e la ridotta efficacia dell’insulina - la cosiddetta insulino-resistenza - sui tessuti sensibili (fegato, muscolo, rene). La conseguenza è l’aumento di glucosio (zucchero) nel sangue (Iperglicemia). Le cause di questa disfunzione metabolica sono correlate ad alterazioni genetiche e a fattori ambientali acquisiti, ovvero quelli su cui si può agire attraverso la prevenzione di comportamenti a rischio, quali ad esempio un’alimentazione scorretta, il sovrappeso e la sedentarietà o l’abitudine al fumo. Recenti studi confermano che il microbioma intestinale, noto anche come flora batterica, sembra avere un ruolo rilevante nella modificazione dei tratti metabolici tipici del diabete. 

Abbiamo detto che il diabete può dipendere da una predisposizione genetica. Il diabete di tipo 2 è però spesso presente in soggetti in sovrappeso e obesi, perché?
Certamente la familiarità è uno dei fattori di rischio, ciò non significa che tutti i figli di genitori diabetici debbano necessariamente sviluppare la patologia. Un’alimentazione dal corretto apporto calorico può diventare il principale alleato per la  la correzione e la prevenzione del diabete. Infatti, la relazione tra obesità e diabete è assai stretta proprio perché il sovrappeso e l’obesità, in particolare quella addominale, favoriscono l’insulino-resistenza. Molte alterazioni della glicemia tornano spontaneamente alla normalità dopo che il soggetto ha raggiunto il peso ottimale o ha comunque ottenuto un discreto calo ponderale.

Modificare il proprio stile di vita, partendo da un’alimentazione sana ed equilibrata, è la premessa fondamentale non solo per vivere bene, ma anche per prevenire e curare il diabete di tipo 2?
Sì, imparare e mantenere uno stile di vita sano è importante per tenere sotto controllo e ridurre sensibilmente il rischio di sviluppare in futuro questa patologia. 
La dieta appropriata per il diabetico è composta da una quota complessiva di carboidrati (pane, pasta) e cereali (riso, orzo, miglio) meglio se integrali, che non deve superare il 50-55% dell’apporto calorico giornaliero, purché almeno l’80% di essa sia costituita da amido e fibre. I legumi, cioè ceci, lenticchie e fagioli, vanno inseriti 3-4 volte la settimana mentre gli ortaggi vanno previsti ad ogni pasto perché ricchi di fibre utili per rallentare l’assorbimento degli zuccheri a livello intestinale ed evitare picchi glicemici. Le verdure più indicate sono spinaci, cavolo, broccoletti, cicorie, radicchio, carote, barbabietole, carciofi, rape e pomodori. Le proteine devono costituire circa il 15-20% delle calorie totali ed almeno un terzo deve essere composto da proteine animali, ricche di aminoacidi essenziali. La migliore e più salutare fonte di proteine è il pesce, in particolare quello azzurro (acciughe, sardine, sgombro) che contiene acidi grassi essenziali, come Omega 3 e Omega 6, in grado di migliorare la risposta delle cellule dei tessuti all’azione dell’insulina. A seguire la carne, che tuttavia contiene sempre una discreta quota di grassi animali saturi. Le rimanenti calorie (25-30%) devono essere fornite da grassi, possibilmente di origine vegetale ad alto contenuto di acidi grassi polinsaturi: perciò, per condire, è bene prediligere l’olio di oliva o di semi al burro.
Per insaporire i cibi, utilizzare il sale da cucina con estrema moderazione e preferire le spezie come pepe, paprika, peperoncino, senape, menta, alloro, noce moscata, cannella, semi di finocchio, zafferano, zenzero, timo, maggiorana, salvia, rosmarino, basilico, anche succo di limone, aceto.
Anche l’apporto di vitamine e sali minerali deve essere adeguato. Suggerisco di bere almeno 2 litri di acqua al giorno e di limitare il vino ad un bicchiere al giorno. Nei soggetti diabetici il consumo di bevande alcoliche dovrebbe essere moderato, preferibilmente durante i pasti e non a digiuno.

Un paziente diabetico può mangiare la frutta? Quale frutta è più indicata?
Il diabetico può mangiare qualsiasi tipo di frutta, deve però prediligere quella con indice glicemico più basso e una ridotta percentuale di carboidrati, come l’albicocca, la mela, l’ananas, le ciliegie, l’arancia, la prugna, il kiwi, la pesca, la pera, che contengono dai 5g e ai 10g di carboidrati per 100g di peso. Ottimo il melone, l’anguria e la fragola con meno di 5g di carboidrati per 100g di peso. La frutta secca e le castagne, invece, contengono più di 50g di carboidrati per 100g di peso; mentre la banana, la frutta sciroppata, l’uva e i fichi ne contengono più di 10g per 100g di peso.

Quali sono gli alimenti da escludere?
Più che da escludere, direi che ci sono degli alimenti da consumare con moderazione ad esempio le carni rosse, che possono essere sostituite con legumi e pesce, gli insaccati e i formaggi. È scontato dire che vanno eliminati gli zuccheri semplici quali il saccarosio cioè il normale zucchero da cucina, i dolci e le bevande zuccherate di qualsiasi tipo.

Anche la cottura fa la differenza?
Sì, bisogna prestare attenzione ai tempi di cottura e alle temperature, infatti più si cuoce un alimento, maggiore sarà il suo indice glicemico. Ad esempio la pasta andrebbe consumata sempre al dente perché ha un indice glicemico minore della pasta ben cotta. La cottura breve fa sì che tutti i carboidrati siano scissi e resi attaccabili dagli enzimi digestivi. Le patate andrebbero mangiate tiepide o fredde perché il processo di raffreddamento innesca la retrogradazione dell’amido: un processo che rende indigeribili alcuni carboidrati presenti. Metodi di cottura consigliati: ai ferri, in forno, a vapore, a bagnomaria ed al cartoccio. I legumi e le verdure vanno cotti in pochissima acqua e in un recipiente chiuso per preservarne l’apporto vitaminico e minerale.

Qual è la differenza tra indice glicemico e picco glicemico?
L’indice glicemico (dall’inglese Glycemic Index GI o IG) indica la quota d’incremento della glicemia che un alimento è in grado di provocare a parità di contenuto in carboidrati. Il picco glicemico è il più alto valore di glicemia che si registra dopo circa due ore dal pasto. Ovviamente più il pasto è ricco in carboidrati, specie se ad alto indice glicemico, più elevato è il picco. L’importanza di questo valore è correlata all’importanza delle oscillazioni giornaliere della glicemia: maggiori sono le oscillazioni, maggiore è il rischio che la malattia diabetica possa evolvere verso complicanze vascolari. Il picco postprandiale è quindi un valore approssimativo delle oscillazioni giornaliere. 

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