06 marzo 2020

Impianto di Reducer: una cura per i pazienti con angina refrattaria

Impianto di Reducer per angina refrattaria
L’angina refrattaria è una condizione clinica cronica caratterizzata dalla presenza di sintomatologia anginosa debilitante: si tratta di dolori toracici tipicamente da sforzo che si manifestano in quei pazienti che possono avere, al contempo, una malattia coronarica, per la quale sono già state usate tutte le opzioni classiche di vascolarizzazione delle coronarie con angioplastica o bypass, ma che non sono state risolutive. In altre parole, per questi pazienti, fino ad ora, non c’erano possibilità terapeutiche valide, e si tratta di una condizione più frequente di quanto si possa pensare.
Fortunatamente, oggi, però, qualcosa si può fare: l’equipe dell’Heart Center di Maria Cecilia Hospital di Cotignola (RA) sta utilizzando con successo degli impianti di Reducer, che permettono di alleviare i sintomi dell’angina e di migliorare la qualità della vita dei pazienti che ne sono affetti.
A darne notizia è il dottor Francesco Giannini, dell’Unità Operativa di Emodinamica e Cardiologia Interventistica, che spiega: ”Il Reducer è uno stent di metallo a forma di clessidra che viene impiantato nel seno coronarico, la vena principale del cuore che convoglia tutto il sangue venoso refluo dal cuore nell’atrio destro.
Una volta inserito, lo stent produce un restringimento dentro la vena: si crede che ciò faciliti una migliore redistribuzione del flusso sanguigno, da quelle aree che soffrono di meno a quelle che invece soffrono di più, andando a determinare una riduzione dell’ischemia e dei sintomi associati”.
Si tratta di un intervento mini invasivo, che permette al paziente di camminare già dopo qualche ora, e che viene eseguito in anestesia locale: “L’impianto viene inserito per via percutanea – spiega il dottor Giannini – si esegue una incisione di apertura nella vena giugulare destra, nella parte laterale del collo, in anestesia locale; una volta rilasciato nel seno coronarico, l’impianto assume la forma di una clessidra”.
Sebbene si tratti di una procedura sicura che comporta una cura farmacologica antiaggregante di 3-6 mesi dopo l’intervento, questa procedura non è adatta a tutti i pazienti: “Nei pazienti con pacemaker biventricolare lo stent potrebbe creare un danno al pacemaker. Allo stesso modo, non può beneficiare di questo tipo di intervento chi presenta varianti anatomiche, come ad esempio un seno coronarico molto piccolo”.
Per tutti gli altri pazienti i benefici sono visibili, anche se non subito, come spiega il dottor Giannini: “Il paziente può tornare alla propria vita subito ed i benefici si avvertono dopo 3-4 settimane: nello specifico dopo questo periodo di tempo i pazienti possono manifestare scomparsa dell’angina oppure la soglia di comparsa del dolore aumenta: se prima il paziente faceva una rampa di scale e poi si doveva fermare perché avvertiva dolore, dopo l’intervento riesce a fare due o tre rampe di scale senza interrompersi.
I benefici sono estremamente variabili da paziente a paziente: gli studi – quello principale è stato pubblicato nel 2011 sul “New England Journal of Medicine” – mettono in evidenza che il 70-75% dei pazienti dopo l’intervento sta meglio. Solo una piccola quota – circa il 20% – di pazienti non ha benefici: ma ciò dipende da altre cause che non conosciamo e che stiamo studiando”.
Si stima che le persone affette da angina refrattaria siano decine di migliaia: un 5-7% di pazienti con angina viene sottoposto a coronarografia – un esame invasivo che permette di valutare la funzionalità cardiaca, attraverso lo studio delle arterie coronarie – ma non ha opzioni terapeutiche. Sebbene non vi siano dati definitivi sulla popolazione che soffre di questa patologia, secondo il dottor Giannini possono essere circa trecentomila le persone affette da angina refrattaria in tutta Europa. Per loro, quindi, si apre una nuova possibilità di cura.
 

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