15 marzo Giornata del Fiocchetto Lilla dedicata ai Disturbi del Comportamento Alimentare

15 marzo Giornata del Fiocchetto Lilla dedicata ai Disturbi del Comportamento Alimentare
Si chiama Giornata del Fiocchetto Lilla, prende il nome dal codice attribuito ai pazienti che arrivano in Pronto Soccorso e che si sospetta soffrano di questi problemi, si celebra ogni anno il 15 marzo ed è dedicata alla sensibilizzazione e all’informazione sui Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (Disturbi del Comportamento Alimentare o DCA).


I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione sono disturbi mentali. Oltre ai più diffusi e noti, l’anoressia e la bulimia, la quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (il DSM-5), pubblicato dall’Associazione degli Psichiatri Americani (APA), classifica anche disturbi come Pica (Picacismo o Allotriofagia, disturbo caratterizzato dall’ingestione di sostanze non nutritive, come terra, sapone, pietre), Disturbo da ruminazione, Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo e Disturbo da binge-eating (o Disturbo dell’alimentazione incontrollata).

In base ai dati della Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare (SISDCA), sono 8.500 in Italia i nuovi casi di DCA ogni anno: 8-9 di anoressia ogni 100.000 donne e 12 di bulimia; tra gli uomini i numeri sono notevolmente più bassi, 0,02-1,4 casi ogni 100.000 per quello che riguarda l’anoressia e 0,8 per la bulimia. La fascia più a rischio è quella degli adolescenti, tra i 15 e i 19 anni, ma l’età della comparsa dei primi sintomi è sempre più bassa, mentre i numeri dei casi è in aumento.

Per capirne di più, abbiamo parlato con la Dottoressa Michela Francia, psicoterapeuta, responsabile del Servizio di Psicologia Ospedaliera di Città di Lecce Hospital, e con il Dottor Alberto Calabrese, biologo nutrizionista, responsabile del Servizio di Nutrizione Clinica di Villa Lucia Hospital, a Conversano.
 

Dottoressa Francia, quali sono le caratteristiche principali di questi disturbi?

Sebbene tutti diversi, i DCA sono accomunati da un rapporto malsano con una o più tipologie di alimenti e associati a problemi fisici e psico-sociali più o meno rilevanti. Avendo un’eziologia multifattoriale complessa, i trattamenti devono essere integrati. Il lavoro in team è fondamentale in questo tipo di problematiche. Oltre al biologo nutrizionista per la riabilitazione alimentare, fanno parte dell’équipe uno psicoterapeuta adeguatamente formato per i disturbi alimentari e, in base ai casi, un medico internista, un cardiologo, un fisioterapista, un chirurgo bariatrico.
 

Quale è il ruolo dello psicoterapeuta nel trattamento dei DCA?

Soffrire di un disturbo alimentare significa usare il cibo per esprimere un dolore di tipo emotivo, che potrebbe risalire anche ai primi anni di vita. Chi ne è affetto utilizza il meccanismo del disturbo alimentare per affrontare eventi che portano un carico di emozioni troppo difficile da sopportare. Nel circuito patologico, le persone considerano il disturbo come una specie di supporto. Da psicoterapeuta cognitivo comportamentale, lavoro prima di tutto sul rapporto con il paziente, sul sintomo (specialmente in caso di necessità di recupero di peso nell’anoressia se il paziente è in pericolo di vita) e sulla motivazione per spingere a seguire la riabilitazione alimentare del biologo nutrizionista e perseguire gli obiettivi.
In un secondo momento, dopo aver instaurato un rapporto di fiducia, si rilevano gli aspetti che hanno contribuito alla manifestazione e al mantenimento del problema, da quelli più prossimi, come una dieta eccessiva o le aspettative di un genitore, a traumi, abusi sessuali, gravi incidenti del passato. In generale, si lavora sull’autostima e sull’espressione, sull’elaborazione e sulla gestione delle emozioni per trovare un equilibrio rispetto al modo di vedere il cibo. Ma anche sull’immagine corporea distorta, attraverso l’uso dello specchio, per l’accettazione delle parti del corpo considerate critiche, e sull’incrementare altri interessi che non siano legati al cibo.
 

Quali sono i sintomi più evidenti dell’anoressia?

Un paziente viene considerato affetto da anoressia prima di tutto se interessato da un importante calo ponderale valutato in base all’indice di massa corporea. Il Body Mass Index (BMI), il rapporto tra peso e quadrato dell’altezza, negli individui normopeso è compreso tra 18,5 e 24,9, mentre con un BMI pari o inferiore a 17,5 si può parlare di anoressia. Il disturbo è caratterizzato da un’intensa paura di aumentare di peso, per cui si utilizzano comportamenti come diete drastiche, digiuno e iperattività anche quando il peso è considerevolmente basso. Sono tipiche anche la distorsione dell’immagine corporea (la persona si guarda continuamente allo specchio e si pesa più volte al giorno), l’autostima rapportata al peso corporeo (se si mangia di più il peso aumenta e dunque non ci si considera abbastanza forti da mantenere l’autocontrollo), la polarizzazione ideativa (per cui, anche senza mangiare, le persone pensano sempre al cibo, cucinano per gli altri, leggono le ricette, ma senza cedere alla “tentazione”, aumentando così l’autostima e il senso di controllo).
 

Come riconoscere la bulimia?

La bulimia è un disturbo alimentare contrassegnato da ricorrenti abbuffate. “Abbuffata” vuol dire mangiare in un determinato tempo una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che si mangerebbe normalmente. Per la diagnosi, indicativamente le abbuffate devono avvenire almeno una volta alla settimana per 3 mesi consecutivi. Durante questi episodi, il paziente ha la sensazione di perdita di controllo e, successivamente, è spinto a condotte compensatorie per evitare l’aumento di peso, come vomito autoindotto, utilizzo smodato di lassativi, enteroclismi, diuretici o digiuno e eccessiva attività fisica. Tendenzialmente perfezioniste, le persone con condotte bulimiche possono essere contraddistinte da una bassa autostima e da umore depresso.
 

Il binge-eating è un disturbo alimentare in crescita. Dottoressa, perché è diverso dall’obesità?

Il Disturbo da binge-eating, o Disturbo dell’alimentazione incontrollata, è simile alla bulimia, perché presenta abbuffate e perdita di controllo, ma non condotte compensatorie, per cui si riscontra un notevole aumento del peso. Il binge-eating è diverso dall’obesità in quanto quest’ultima non è un disturbo mentale, anche se in comorbidità può presentare il Disturbo dell’alimentazione incontrollata.
 

Come avviene il primo approccio dei pazienti alla terapia?

La vergogna è una caratteristica comune tra bulimici, anoressici e persone interessate dai DCA, infatti non amano mangiare in pubblico, spesso indossano indumenti ampi, non hanno legami profondi. Per questo è difficile che i pazienti inizino un trattamento spontaneamente; è comune che vengano spinti da genitori, amici, parenti o indirizzati dopo un ricovero. Può capitare anche che una persona in sovrappeso si rivolga allo psicoterapeuta per una depressione e, scavando, lo specialista scopra un Disturbo da binge-eating. O, ancora, che una persona normopeso chieda una consulenza dietologica per perdere peso e il nutrizionista individui, dietro la richiesta, una forte preoccupazione di ingrassare e aspetti psicologici di una bulimia. In generale, per la bulimia, dopo un anno di trattamento può iniziare la fase di remissione, mentre per l’anoressia si può iniziare la remissione anche dopo 5 anni.
 

Dottor Calabrese, oltre al binge-eating, quali sono i “nuovi” disturbi alimentari?

Negli ultimi anni, comportamenti come anoressia e bulimia sono rimasti sempre gli stessi dal punto di vista della eziopatologia, (cioè della genesi della patologia), ma se ne sono sviluppati altri recenti come l’ortoressia o la drunkoressia. L’ortoressia è un disturbo contrassegnato da una forma di attenzione maniacale verso le regole alimentari, dalla scelta ossessiva di cibi considerati più sani (biologici, integrali, preparati con farine particolari), dalla paura di ingrassare, ma anche di non essere in perfetta forma, in perfetta salute. La drunkoressia è, invece, una forte restrizione calorica nell’arco della giornata finalizzata al poter bere più alcolici senza prendere peso. Questa tendenza porta a consumare alcolici in grandi quantità, quindi spesso anche a ingrassare nonostante si mangi poco, e a ridurre l’introduzione di sostanze nutritive in favore dell’alcol, che apporta calorie ma non ha alcun potere nutrizionale.
 

Quali sono le conseguenze sul fisico dei DCA?

L’anoressia porta a gravi carenze nutrizionali, di vitamine, di minerali, con perdita della massa magra e una debilitazione di tutto il fisico. L’obesità, che può derivare per esempio dal Disturbo dell’alimentazione incontrollata, porta ad avere tessuto adiposo in eccesso rispetto alla soglia fisiologica e a conseguenti patologie a carico di polmoni e sistema cardiovascolare. Problemi come la Sindrome dell’alimentazione notturna (e, in generale, i disturbi che portano all’obesità) provocano una serie di conseguenze gravi per lo stomaco come esofagiti di classe A o B, ernie iatali per il reflusso gastroesofageo, ulcera causata dai succhi gastrici che lavorano tutta la notte.
 

Obesi e anoressici possono anche riscontrare problemi ortopedici.

Sì. I primi per via del peso in eccesso che poggia su articolazioni e colonna vertebrale. I secondi per la massa muscolare ridotta, con muscoli deperiti e deboli, in sarcopenia, condizione che di solito si riscontra negli anziani e che può comportare calcificazioni e rigidità articolare. Esemplare il caso di un mio paziente, un ragazzo obeso che avrebbe dovuto subire un trattamento chirurgico per lo schiacciamento delle vertebre causato dal peso eccessivo. Per diminuire l’alto rischio durante l’operazione, il chirurgo gli ha consigliato di perdere peso e di consultarmi. La famiglia del ragazzo possedeva un’attività di ristorazione ambulante e accadeva spesso che tutto quello che non era venduto venisse consumato dalla famiglia stessa. L’alimentazione era formata, quindi, da piatti ricchi di grassi e carboidrati complessi, soprattutto da panini con carne. In questa situazione, è stato fatto un lavoro per modificare il modo di alimentarsi del giovane, cercando di ridurre progressivamente i cibi cui era abituato e introducendo alimenti sani, cucinati in maniera appetibile. Il ragazzo ha iniziato a sentirsi meglio, a camminare meglio, a dimagrire fino a perdere 45 chili in 8 mesi. Inoltre, non ha più dovuto subire l’intervento chirurgico, perché le vertebre si sono riposizionate fisiologicamente.
 

Quale è, dunque, il ruolo del biologo nutrizionista nel percorso di recupero dai Disturbi del Comportamento Alimentare?

Il ruolo del nutrizionista consiste soprattutto nel far comprendere al paziente le caratteristiche degli alimenti che fanno parte di una dieta sana ed equilibrata e nell’insegnare uno schema da seguire. Ovviamente, essendo patologie multifattoriali, i disturbi DCA vanno seguiti da un’équipe multidisciplinare. Per esempio, con una paziente obesa di III classe, è stato importante l’approccio psico-nutrizionale in un percorso per ridurre drasticamente la quantità di latte bevuta ogni giorno, come fosse acqua, perché associato a una sensazione di benessere (legata all’infanzia).
 

Fondamentale anche intervenire prima possibile.

Certo. Penso a un caso in cui, purtroppo, sono arrivato troppo tardi. Un ragazzo, dopo aver letto informazioni generiche su Internet, ha iniziato a essere molto selettivo sugli alimenti. Eliminava cibi contenenti nichel e glutine per evitare ipotetiche conseguenze negative e, quando poi li reintroduceva, non aveva la capacità di riassorbirli e aveva sviluppato delle intolleranze, fino a diventare anoressico. Era fortemente debilitato quando l’ho preso in carico, e ho subito consigliato ai genitori il trattamento in un centro di recupero per DCA.
 
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Revisione medica a cura di: Dott. Alberto Calabrese, Dott.ssa Michela Francia

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