La
coxartrosi, o artrosi dell’anca, è una
patologia degenerativa in cui all’alterazione della cartilagine articolare si accompagna il dolore, in alcuni casi fino a compromettere la deambulazione. Ma com’è possibile giungere a una diagnosi e al trattamento ottimale? Ne abbiamo parlato con il
Dott. Marco Calderoni, Medico Chirurgo Ortopedico e Traumatologo, specializzato nella diagnosi e terapia delle principali patologie traumatiche e degenerative delle articolazioni e dell’apparato muscolo-scheletrico. Presso
Ravenna Medical Center, il Dott. Calderoni mette in pratica in prima persona le tecniche di trattamento dell’artrosi dell’anca, comprese quelle di nuova generazione.
Quante persone soffrono di questa patologia? C'è una predisposizione particolare in alcuni soggetti?
L'artrosi dell'anca è
di frequente ereditaria, quindi vi è alla base una componente genetica familiare. Può inoltre presentarsi come conseguenza di traumi o altre patologie dell’anca, come l’artrite reumatoide, la displasia e l’osteonecrosi. Ma non mancano numerosi casi in cui non
è possibile identificare una o più cause. Il numero di pazienti colpiti è più modesto rispetto ad altre localizzazioni di artrosi, come ad esempio nella schiena o nelle ginocchia, ma, grazie allo sviluppo della diagnosi precoce, è oggi possibile individuarla nella sua primissima fase: proprio per questo, l'incidenza è aumentata.
Come si giunge alla diagnosi?
La diagnosi di coxartrosi è clinica, ossia tramite visita specialistica ortopedica, e strumentale.
È possibile quindi ricorrere a radiografie convenzionali e in alcuni casi a risonanza magnetica. L’obiettivo è chiarire la causa dei sintomi spesso manifestati dal paziente: dal dolore all’inguine fino alla difficoltà nel fare movimenti che dovrebbero essere estremamente facili.
Presso Ravenna Medical Center è possibile giungere alla diagnosi con facilità: sono infatti disponibili specialisti dedicati e diagnostica strumentale di altissimo livello, che, uniti a una visione multidisciplinare, offrono al paziente un punto di vista a 360 gradi.
Quali trattamenti è possibile portare avanti? Sono state introdotte novità significative nel campo delle terapie?
Dal punto di vista delle terapie possibili, si distingue fra trattamenti conservativi, eseguibili in day hospital, e trattamenti chirurgici. Fra i primi vi sono il trattamento fisiochinesiterapico, ovvero la fisioterapia, quello farmacologico e quello infiltrativo. Fra questi ultimi, il più facilmente disponibile è l’infiltrazione con acido ialuronico, ma oggi esistono anche terapie biologiche.
Queste infiltrazioni vengono eseguite con cellule mesenchimali autologhe, ovvero con derivati del sangue o del tessuto adiposo, e sono pertanto trattamenti di medicina rigenerativa, proprio perché hanno l’obiettivo di rigenerare la cartilagine. Sia questo trattamento che quello con acido ialuronico sfruttano molecole presenti nell’organismo, ma in quello biologico si utilizzano preparati ottenuti dal paziente stesso: per questo, hanno un profilo di sicurezza, tollerabilità ed efficacia maggiori.
Entrambe le tipologie di infiltrazione sono minimamente invasive e danno risultati molto soddisfacenti. Il paziente può tornare a casa il giorno stesso e riprendere quasi subito le proprie attività quotidiane: sono necessari circa una settimana o dieci giorni di riposo, ma senza l’obbligo di stare a letto.
Le infiltrazioni biologiche sono frutto di studi molto recenti e di conseguenza il grande ambito di interesse per il futuro, anche con lo scopo di ridurre la percentuale di soggetti che devono sottoporsi alla chirurgia. A questo proposito, bisogna sottolineare che si procede con i trattamenti conservativi nelle fasi iniziali e intermedie dell’artrosi. Quando invece si trova in stato avanzato, si deve intervenire, perché i sintomi diventano molto invalidanti.
La chirurgia tradizionale è quella sostitutiva, con impianto di protesi. È molto affidabile, dà risultati soggettivi e funzionali eccellenti nella maggior parte dei casi. Esiste anche un filone di chirurgia conservativa, quindi senza impianto di protesi, che viene già praticata ma ancora con risultati non ottimali: è necessario selezionare accuratamente i casi in cui utilizzarla e per ora la percentuale di pazienti operati in questo modo è ancora ridotta. In questo filone, alcuni interventi vogliono correggere lo sviluppo dell’artrosi, come nel caso della sindrome da conflitto femoro-acetabolare.
Quale programma è possibile stabilire per il paziente presso Ravenna Medical Center?
Il professionista ortopedico è in grado di arrivare fino in fondo alla gestione del percorso, con la consulenza chirurgica e l’eventuale intervento. L’intero programma dedicato al singolo paziente può quindi svolgersi presso la struttura, dalla diagnosi al trattamento, fino alla riabilitazione. È un approccio particolarmente importante per il paziente e credo che una visione basata sulla persona sia inscindibile dai valori deontologici: il paziente deve essere accolto, guidato e accompagnato in questo percorso, che deve mirare al traguardo della guarigione senza mai dimenticare il suo benessere.
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