Il sonno oggi è sempre più condizionato da
ansia e stress. Una problematica in continua crescita anche a causa del
confinamento sociale imposto dalla pandemia da Covid-19.
Quali sono i numeri del problema in Italia? Quando non è un problema transitorio ma cronico? E quali sono le strategie terapeutiche e comportamentali da mettere in campo con l’aiuto dello specialista? Abbiamo affrontato questi temi con il
Dott. Alfonso Mastropietro, specialista in neurologia della
Sleep Clinic e responsabile del reparto di
Neuropsicogeriatria a
Clinica Santa Caterina da Siena a Torino.
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I numeri dell’insonnia erano dei numeri importanti già prima della pandemia da Covid-19. È un problema che riguarda infatti il 10-40% della popolazione affetta da disturbi vari del sonno che vanno dall’addormentamento al mantenimento del sonno o disturbi da risveglio precoce. Il confinamento sociale imposto dalla pandemia ha creato nuovi modelli psicopatologici legati ai disturbi dell’ansia, ai disturbi dell’umore, ai disturbi post traumatici da stress, e tutti sono in crescita. Voglio precisare che l’insonnia non è una malattia ma è un sintomo se non in casi come la narcolessia, causata da un’alterazione del sistema melatoninergico che regola il ritmo sonno-veglia. Le percentuali abituali in questo momento storico perciò salgono al 50% e indubbiamente è un problema delle 24 ore cioè che coinvolge l’intera giornata. Per questo è importante rivolgersi subito allo specialista per ricevere delle cure che vanno ad agire sia sul breve termine che sul medio termine”.
Quali sono gli esami che coadiuvano lo specialista per eseguire una corretta diagnosi?
Ci sono dei
test che valutano la qualità e il tipo di sonno però non sono altrettanto fondamentali come l’anamnesi clinica eseguita dallo specialista. Altro tema è se il tipo di insonnia è legato a problemi secondari di tipo respiratorio. Per la tipologia più comune è fondamentale il colloquio con il paziente per valutare se il soggetto avesse già dei fattori predisponenti, precipitanti o perpetuanti e che riguardano il problema del sonno.
Dormire poco o male per un periodo transitorio non è ottimale. Quali sono le ricadute invece sulla mente e sul corpo se l’insonnia si cronicizza?
Le ricadute sono importanti. Il problema non è solo quello di non dormire la notte ma avere
sonnolenza,
disturbi dell’umore,
compromissione del funzionamento lavorativo e sociale durante tutto l’arco della giornata proprio a causa di una scarsa qualità del sonno. Il fattore aggravante, come detto prima, può essere proprio il confinamento che ognuno di noi sta vivendo in tempi di pandemia. L’architettura del sonno perciò viene alterata e i sogni, la fase rem in particolare, viene molto disturbata ma soprattutto la fase di sonno profondo in cui si ha un completo abbandono della coscienza. Ogni giornata è uguale all’altra, e così non abbiamo la possibilità di ‘accumulare’ i nostri ricordi che sono l’insieme delle tracce di memoria più le emozioni.
Si sogna meno perché il nostro specchio dei ricordi ogni notte va in frantumi e non riusciamo a ricostruire il ‘puzzle’ dei nostri ricordi. L’architettura del sonno alterata per lungo tempo può dare non solo un
disturbo dell’umore ma generare
ansia cronica. A quel punto più che l’insonnia va trattata la patologia che sottende il disturbo del sonno come la depressione e i disturbi dell’ansia.
Esistono dei trattamenti farmacologici di ultima generazione che possono essere consigliati oppure altre metodiche alternative in grado di combattere il problema?
Il problema in acuto, nel caso di insonnia transitoria si tratta di solito con
tre tipi di trattamenti farmacologici. Partiamo dalle
benzodiazepine a breve emivita che servono ad indurre sia l’addormentamento che il prolungamento del sonno. In questo modo si riducono i livelli di ansia prima del momento dell’addormentamento. Poi ci sono le
‘zeta drugs’ ipnoinducenti che cioè non agiscono sull’ansia ma solamente sull’addormentamento hanno una durata brevissima tanto che dopo 20 minuti vengono metabolizzati dall’organismo del soggetto. Il prodotto più ‘naturale’ che ha un’azione anti aging e antiossidante è la
melatonina con un dosaggio dai 2 ai 5 milligrammi, altrimenti è inefficace. La nostra produzione endogena di melatonina si riduce drammaticamente dopo i 40 e i 50 anni.
Poi c’è un discorso a parte per i
trattamenti non farmacologici tra i quali ad esempio la
terapia psicologica cognitivo-comportamentale che è un intervento psicoterapeutico strutturato. Rimane il fatto che un paziente che non dorme vuole risolvere e perciò dormire. Ugualmente importante è l’
educazione al sonno. È una buona abitudine bere tisane serali, dormire in ambiente per quanto possibile confortevole e seguire anche i propri ritmi personali del sonno. Ci sono persone definite ‘allodole’ e altri ‘gufi’, bisogna assecondare la propria natura. Infine, pratiche come lo yoga e la mindfulness possono migliorare il problema ma non possono bastare chiaramente se si soffre di un danno strutturale e neuropsichiatrico.
Ci sono cibi che possono contribuire al miglioramento del sonno che vuole consigliare a chi ci segue?
Sicuramente curare la scelta degli alimenti è una strategia. Consumare una
cena leggera,
evitare carboidrati dopo il pomeriggio e
ridurre la carne rossa di sera perché tendono a far rimanere svegli. E poi, come sappiamo, sono da bandire le sostanze eccitanti come il caffè o il the.