La figura dell’
emodinamista, o in maniera più appropriata del
cardiologo interventista (termine mutuato dall’inglese interventionalist), è nata più di 30 anni fa e, inizialmente, si è occupata quasi esclusivamente di una diagnostica relativa alle coronarie, dell’esecuzione delle coronarografie.
Oggi il ruolo è in continua evoluzione: ne abbiamo parlato con il
Dott. Gaetano Contegiacomo, specialista in
Cardiologia Interventistica e responsabile dell’Unità di Emodinamica di Anthea Hospital.
Il percorso di studi dell’emodinamista
Il percorso di studi dell’emodinamista, dopo la laurea in Medicina, prevede la specializzazione in Cardiologia e, all’interno della specializzazione, un percorso dedicato all’interventistica cardiovascolare e a tutto ciò che prevede il
trattamento di patologie cardiache non chirurgico, quindi non invasivo. Questo orientamento avviene generalmente negli ultimi due anni di specializzazione, e viene completato nei laboratori di emodinamica di unità dedicate, con un percorso di interventistica che dura in realtà per tutta la carriera.
Cosa fa l’emodinamista
L’emodinamica, o Cardiologia interventistica, si occupa delle
problematiche che riguardano il flusso sanguigno e il sistema vascolare con trattamenti non chirurgici. Gran parte dell’attività del cardiologo interventista è legata alla
diagnosi e al trattamento della patologia coronarica e all’esecuzione delle coronarografie. Con l’introduzione delle angioplastiche coronarica in Italia, a partire dalla fine degli anni Ottanta, questa attività di diagnostica per via percutanea si è estesa al “palloncino”, alle angioplastiche delle coronarie, e si è perfezionata nel corso del tempo.
Una figura in evoluzione
Nel corso degli anni successivi, l’attività dell’emodinamista ha iniziato a interessare anche altri distretti, in base anche alla formazione e alle capacità individuali dello specialista. Molti interventisti cardiovascolari si occupano di
angioplastica delle carotidi, agli arti inferiori o (più raramente) di
trattamenti endoprotesici, come quello percutaneo dell’aorta addominale. Nell’ultimo decennio l’estensione ha riguardato patologie differenti, non più solo vascolari e coronariche, ma anche patologie strutturali cardiache che, in precedenza, erano appannaggio solo del cardiochirurgo, ovvero malattie valvolari, in particolare della valvola aortica, che nel paziente anziano vengono trattate oggi in buona parte per via percutanea con la TAVI.
Il chirurgo interventista può occuparsi anche della chiusura tramite l’inserimento del cosiddetto “ombrellino” del forame ovale pervio, patologia molto comune nei giovani, legata a un piccolo difetto di comunicazione delle camere atriali e che può portare all’ictus, e della chiusura dell’auricola per via percutanea. Ultima frontiera, in una fase di start up, propria di pochi centri in Italia, è il
trattamento percutaneo di altre valvole cardiache, la mitrale e la tricuspide. Un’evoluzione progressiva naturale verso la mininvasività e la ricerca di soluzioni non chirurgiche.
Il lavoro in heart team
La figura del cardiologo interventista oggi si sta sempre più avvicinando a quella del cardiochirurgo e quella del cardiochirurgo all’emodinamista: i due ruoli si sono già incontrati in
équipe con approccio multidisciplinare come l’heart team, che si occupa di discutere i casi di pazienti complessi coinvolgendo cardiologo clinico, cardiochirurgo, cardiologo interventista, anestesista.
Il percorso del paziente
Il paziente si rivolge all’emodinamista generalmente su indicazione dello specialista cardiologo e spesso viene ricoverato per indagini diagnostiche, come la coronarografia. Se l’esame rileva una patologia relativamente semplice da trattare con angioplastica, il cardiologo interventista procede nella seduta stessa. Se si tratta di un caso complesso, si discute in heart team per decidere come procedere. Le strategie sono di tre tipi: totalmente percutanee, totalmente chirurgiche o ibride (come by-pass e angioplastica, in uno o due tempi). Grazie all’heart team e a una struttura con reparto di cardiochirurgia, è possibile una gestione delle complicanze che riduce i rischi al minimo.
I tempi di degenza
La coronarografia viene eseguita in day surgery, salvo necessità di angioplastica coronarica o vascolare, per cui la degenza non supera generalmente le 48 ore. Per procedure più complesse come la TAVI (il trattamento percutaneo della valvola aortica), la degenza media va dai 4 ai 5 giorni.