Il
Morbo di Parkinson è una
patologia neurodegenerativa che interessa il sistema extrapiramidale, cioè quella parte del sistema nervoso centrale che controlla la qualità del movimento. Questo sistema opera normalmente un’azione sinergica e perfezionamento del movimento, che altrimenti risulterebbe non armonico. Le malattie extrapiramidali vengono divise in due grandi categorie: le forme ipo-cinetiche, caratterizzate da una lentezza di movimenti, di cui fa parte il Parkinson, e le forme ipercinetiche, con un aumento del movimento, tra cui troviamo la Corea.
In particolare, il “Morbo” di Parkinson rappresenta il più comune tipo di parkinsonismo, termine che identifica un gruppo di patologie neurologiche caratterizzate da disturbi del movimento quali la
bradicinesia, la
rigidità e il
tremore (tra cui parkinsonismi indotti da farmaci, paralisi sopranucleare progressiva, atrofia multi-sistemica, parkinsonismo vascolare). Secondo quanto riportato dalla Società Italiana di Neurologia, colpisce l’1% della popolazione over 60 anni e il 4% tra gli over 80 anni, anche se non sono rari casi giovanili prima dei 40 anni.
Con la
professoressa Isabella Laura Simone, dell’ambulatorio di
Neurologia di
Ospedale Santa Maria di Bari, abbiamo parlato delle cause e dei fattori di rischio, dei sintomi, della diagnosi e dei trattamenti attualmente disponibili.
Morbo di Parkinson: cause e fattori rischio
La causa precisa che porta a sviluppare il morbo di Parkinson non è nota. È ipotizzata un’
origine multifattoriale, con una stretta interazione tra fattori genetici e ambientali.
Le principali
mutazioni genetiche che determinano la patologia sono: alfa‐sinucleina (PARK 1), parkina (PARK‐2), PINK1 (PARK‐6), DJ‐1 (PARK‐7), LRRK2 (PARK‐8). Circa il 20% dei pazienti presenta una storia familiare positiva per la malattia e, in generale, in questi casi può comparire in età giovanile.
Il rischio aumenta con l’
esposizione a tossine come alcuni pesticidi o idrocarburi‐solventi (per esempio la trielina) e in alcune professioni (come quella di saldatore) che espongono i lavoratori a metalli pesanti.
La patogenesi del Parkinson
Nel Parkinson è presente una marcata riduzione di un mediatore chimico chiamato
dopamina, riduzione dovuta alla degenerazione dei neuroni in un’area chiamata Sostanza Nera (situata tra il mesencefalo e il diencefalo). La perdita cellulare è di oltre il 60% già all’esordio dei sintomi.
Inoltre, nel corso della malattia, si osserva la progressiva aggregazione di una proteina chiamata alfa‐sinucleina nei cosiddetti
corpi di Lewy. Questi aggregati in pazienti ancora asintomatici compaiono prima nel bulbo olfattivo, poi nel tronco encefalo. Col progredire della patologia, i corpi di Lewy si sviluppano nella Sostanza Nera e in altre aree del mesencefalo e, nell’ultima fase, nella neocorteccia. Tuttavia, è dibattuto se i corpi di Lewy rappresentino o meno la causa diretta della morte cellulare che caratterizza la malattia.
Questa
progressione del danno giustifica la sintomatologia e i segni clinici che inizialmente sono non-motori, per diventare poi motori quando è interessata la sostanza grigia, e cognitivo comportamentali quando è coinvolta la corteccia.
Parkinson: i sintomi
Prima ancora dei sintomi, possono fare la loro comparsa
segni clinici premonitori come iposmia (perdita parziale dell’olfatto) e REM behavior disorders, cioè agitazione notturna durante la fase del sonno REM, con sogni estremamente vividi.
Il Morbo di Parkinson è caratterizzato da
sintomi e segni motori e non motori.
I sintomi motori
Parlando dei
segni motori, è opportuno precisare che la Malattia di Parkinson ha un esordio monolaterale e tende, poi, a diffondersi bilateralmente. Tra questi sintomi troviamo la bradicinesia, il tremore e la rigidità.
- La bradicinesia, cioè un rallentamento dei movimenti, è sicuramente il segno più importante. Spesso uno dei primi sintomi è la perdita monolaterale dei movimenti pendolari delle braccia, che normalmente accompagnano la deambulazione. La deambulazione risulta lenta, a piccoli passi, con passo trascinato sul pavimento. A volte compare il fenomeno del “Freezing”, cioè congelamento sul pavimento: i piedi sono come “incollati” sul pavimento e il cammino non si avvia se non dopo uno stimolo sonoro, tipo un battere delle mani da parte dell’esaminatore. In effetti, nel Parkinson ciò che è carente è l’iniziativa al movimento. Il paziente non è solo lento nella deambulazione, ma anche nella parola, che risulta monotona e disfonica, nella mimica, nella deglutizione e nella scrittura, che appare piccola, tanto da non essere leggibile.
- Il tremore è presente anche a riposo. In genere inizia a livello della mano, spesso delle prime due dita, pollice e indice (con il fenomeno definito “del contare moneta” o “del dire il rosario”), poi può diffondersi al capo, al mento e, più raramente, agli arti inferiori.
- La rigidità interessa la muscolatura intera, flessori, estensori, adduttori, abduttori. Il paziente appare rigido in tutti i movimenti, che risultano lenti e impacciati, con rischio di cadute. La postura, soprattutto nelle fasi finali, appare con tronco, arti inferiori e superiori in semiflessione, una postura definita camptocormica.
I sintomi non motori
Tra
i sintomi e i segni non motori si rilevano il coinvolgimento del sistema gastrointestinale con stipsi ostinata, del sistema genitourinario con disturbi della minzione e, ancora, seborrea, scialorrea (eccessivo accumulo di saliva nel cavo orale), ipotensione ortostatica (eccessiva diminuzione della pressione arteriosa in posizione eretta).
Come viene diagnosticato il Morbo di Parkinson
Dopo la
visita specialistica, il neurologo può prescrivere una serie di indagini diagnostiche.
La
tomoscintigrafia cerebrale con DAT scan, con tracciante per la dopamina (DaT SPECT), identifica la disfunzione presinaptica della dopamina. Si tratta di un esame altamente sensibile e specifico nel rilevare un danno delle cellule dopaminergiche nel Parkinson.
La
RMN non è un esame specifico, ma è utile per escludere diagnosi alternative o altri parkinsonismi, mentre la
scintigrafia cardiaca con tracciante specifico per valutare la denervazione cardiaca simpatica che può essere presente nella malattia.
Morbo di Parkinson: le terapie
La terapia della Malattia di Parkinson è sintomatica, e sostanzialmente
sostitutiva della carenza di dopamina cerebrale.
La
levodopa, precursore della dopamina, è il farmaco principale: una volta assorbita nel duodeno, attraversa la barriera ematoencefalica e viene trasformata in dopamina nei neuroni della Sostanza Nera. La levodopa è associata a inibitori degli enzimi che altrimenti metabolizzerebbero in periferia il farmaco impedendogli di raggiungere la Sostanza Nera.
Nella
fase avanzata, la terapia farmacologica può risultare inefficace per garantire al paziente una buona qualità di vita, le somministrazioni giornaliere di levodopa possono superare le 4‐5 dosi, le fasi OFF (in cui ricompaiono i sintomi) e le discinesie ON (movimenti involontari che si associano e si sovrappongono ai movimenti volontari) possono diventare sempre più severe. A questo punto, l’
infusione continua di un farmaco dopaminergico può rivelarsi un trattamento altamente efficace.
Anche la
stimolazione cerebrale profonda (DBS, Deep Brain Stimulation) rappresenta una efficace e sicura opzione terapeutica per le fasi avanzate. Consiste nell’impianto di due elettrodi alimentati da una batteria in specifiche strutture del cervello non colpite dalla neuro‐degenerazione, il nucleo subtalamico (STN) e il globo pallido interno (GPi).
Una nuova metodica, chiamata “
High Focus Ultrasound‐RMN guidata”, sfrutta gli ultrasuoni per lesioni cerebrali profonde di assoluta precisione. La tecnica ha dimostrato di essere sicura ed efficace sul tremore nelle lesioni talamiche unilaterali, ma l’applicazione ad altri target più utili per la patologia è ancora in fase di ricerca.