La
maculopatia è una patologia che colpisce la macula, ovvero la zona centrale della retina deputata alla visione distinta centrale.
Alcune forme di maculopatia, le cosiddette maculopatie “trazionali”, possono essere affrontate chirurgicamente. Queste sono rappresentate dal
pucker maculare, dal
foro maculare e dalla
sindrome da trazione vitreo-maculare. “Generalmente si formano spontaneamente, per ragioni ancora non note e si presentano
intorno ai 50 anni, con una maggiore incidenza nel
sesso femminile - spiega il
Dottor Paolo Aiello, specialista in
Oculistica presso l’
Ospedale San Carlo di Nancy di Roma. - La prevalenza è del 2% in pazienti con più di 60 anni e sale al 12% dopo i 70 anni”.
Il
pucker maculare consiste nella formazione sulla macula, ossia la parte centrale della retina, di una membrana sottile che cresce e si contrae provocando così la deformazione della macula stessa e anche dell’immagine percepita dal paziente (metamorfopsie).
Il
foro maculare, invece, è un piccolo “buco” che si forma anch’esso nella macula provocando la perdita quasi totale della visione centrale.
Infine, la
trazione vitreo-maculare è causata da un’anomala contrazione del vitreo, ossia il gel che riempie l’occhio, che provoca una trazione sulla macula e quindi la sua deformazione.
“L’unica soluzione possibile per questo gruppo di malattie è l’intervento chirurgico che consiste nella
vitrectomia mininvasiva”, specifica il
Dott. Aiello.
La vitrectomia è una
chirurgia del segmento posteriore del bulbo oculare, ossia la cavità vitreale, che consiste nell’asportazione del vitreo. Il corpo vitreo è una sostanza gelatinosa trasparente, responsabile delle cosiddette mosche volanti, costituita in gran parte da acqua e altre sostanze quali l’acido ialuronico, presente all’interno dell’occhio a cui dà forma e volume.
La vitrectomia viene eseguita facendo dei forellini all’interno dell’occhio attraverso i quali vengono inserite delle microsonde. “Il diametro di queste microsonde determina l’invasività dell’intervento - spiega il
Dott. Aiello, - è chiaro che tanto più piccolo è il diametro, tanto migliore sarà la compliance da parte dell’occhio del paziente e tanto migliori saranno i risultati post-operatori dell’intervento chirurgico”.
Grazie allo sviluppo tecnologico degli strumenti di calibro ridotto, la vitrectomia mininvasiva consente la creazione di
incisioni autosigillanti di meno di 1mm, che nella maggior parte dei casi
non necessitano di punti di sutura. “Ne consegue un
recupero funzionale più veloce con minore infiammazione intraoculare. I pazienti inoltre lamentano
meno disturbi rispetto alla chirurgia tradizionale. Da qualche anno abbiamo a disposizione delle cannule di calibro ulteriormente ridotto (27 Gauge), quindi forellini di poco meno di 400 micron di diametro. L’intervento si esegue in
anestesia loco-regionale, in modo da bloccare i movimenti e la sensibilità del bulbo oculare,
insieme a una accurata sedazione del paziente, questo rende l'intervento
molto più tollerabile per il paziente”, conclude il
Dott. Aiello.
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