Studiare le vie sensoriali con i potenziali evocati

Studiare le vie sensoriali con i potenziali evocati
I potenziali evocati costituiscono un insieme di esami strumentali che permettono di studiare le risposte del Sistema Nervoso Centrale (SNC) a stimoli sensoriali di varia natura. Questi esami fanno parte delle indagini elettrodiagnostiche, basate su stimolazioni elettriche o di altra natura, che aiutano a monitorare il percorso e il corretto funzionamento di specifiche vie di senso. L’esame dei potenziali evocati evidenzia la presenza di alterazioni nelle vie nervose che trasmettono gli stimoli sensoriali al cervello e integra la diagnosi di malattie neurologiche complesse, come la sclerosi multipla.
Di potenziali evocati e delle loro applicazioni abbiamo parlato con il Dott. Fabrizio Rasi, neurologo presso i servizi di Neurologia ed Elettromiografia di Primus Forlì Medical Center.

Quali sono le principali applicazioni dei potenziali evocati in neurologia?

I potenziali evocati rientrano tra le tecniche di neurofisiologia che permettono di studiare le vie nervose che dalla periferia portano al cervello. In termini fisiologici, i potenziali evocati consistono nel segnale elettrico trasmesso dalle vie nervose quando devono condurre uno stimolo sensoriale. Poiché le modalità sensoriali testate sono diverse, possiamo distinguere diversi tipi di potenziali evocati:
  • potenziali evocati visivi: usati per studiare il nervo ottico e il modo in cui le vie ottiche conducono gli stimoli dalla retina alla corteccia cerebrale per essere interpretati;
  • potenziali evocati acustici: impiegati nello studio della percezione degli stimoli uditivi, che dalla coclea vengono trasmessi alla corteccia cerebrale temporale;
  • potenziali evocati somatosensoriali: permettono lo studio della via sensitiva dell’intero corpo e possono essere registrati stimolando specifiche zone della superficie corporea (in genere, caviglie o polsi).
Quelle citate rappresentano le principali applicazioni cliniche dei potenziali evocati, tutte eseguibili presso Primus Forlì Medical Center mediante l’apparecchiatura per elettromiografia.
A livello sperimentale, è possibile estendere l’analisi dei potenziali evocati anche a funzioni più complesse, come l’analisi dei processi cognitivi, ma si tratta perlopiù di applicazioni di nicchia che non hanno ancora un risvolto significativo nella pratica clinica.
Al momento, non esistono invece applicazioni consolidate per l’esplorazione delle vie sensoriali associate al gusto e all’olfatto. Tuttavia, anche in virtù degli esiti clinici sperimentati da molti pazienti con COVID-19 – come la perdita di gusto e olfatto che si protrae anche per mesi – non è da escludere che a breve vedremo aumentare i tentativi di applicare l’analisi dei potenziali evocati anche a questi ambiti sensoriali.    

Come vengono studiati i potenziali evocati?

L’analisi dei potenziali evocati è un esame non invasivo, che consiste nell’esporre il paziente a determinati stimoli e nel registrarne la risposta a livello cerebrale mediante elettrodi di superficie.
Gli stimoli vengono somministrati in modo diverso in base alla via sensoriale da studiare: per i potenziali evocati visivi, al paziente viene mostrata su uno schermo una scacchiera con quadrati bianchi e neri; per i potenziali evocati acustici, lo stimolo sonoro viene somministrato mediante semplici cuffie; per i potenziali somatosensoriali, si ricorre a minime stimolazioni elettriche (di voltaggio molto basso e indolori) applicate a livello delle caviglie e dei polsi.
I potenziali evocati emessi in seguito alla stimolazione sono generalmente molto deboli. Per distinguerli dal rumore di fondo (cioè, dall’attività elettrica di base che costituisce il segnale elettroencefalografico), si somministrano in rapida sequenza 250-300 stimoli, fino a ottenere un segnale chiaro e distinto.

Quando è consigliata l’analisi dei potenziali evocati?

L’esame dei potenziali evocati non è di per sé diagnostico ma è molto utile come supporto alla definizione di una diagnosi. Sono indagini che devono essere eseguite in stretto rapporto con la clinica e, nonostante non permettano una diagnosi eziologica, aiutano a monitorare la progressione della malattia e a formulare una diagnosi di sede, cioè identificano con precisione le aree lesionate da fenomeni neurodegenerativi, traumi o tumori.
Un classico esempio del loro impiego riguarda patologie neurodegenerative come la sclerosi multipla, causata da un processo di demielinizzazione, cioè di perdita dei manicotti di mielina che normalmente avvolgono le fibre nervose e favoriscono la conduzione dello stimolo. In questi pazienti, l’esame dei potenziali evocati aiuta a evidenziare ritardi nella conduzione del segnale. Inoltre, poiché il test non è invasivo e può essere ripetuto più volte senza disagi per il paziente, l’analisi dei potenziali evocati permette di seguire la progressione della patologia nel tempo.
I potenziali evocati acustici trovano applicazione nei pazienti con neurinoma del nervo acustico, un tumore benigno che colpisce il nervo cranico e che, crescendo di dimensioni, può alterare la trasmissione degli stimoli sonori. 
Un altro campo di applicazione riguarda i pazienti in coma ricoverati nei reparti di rianimazione o di terapia intensiva. In questi casi, l’analisi dei potenziali evocati permette di ottenere informazioni sull’integrità funzionale delle varie stazioni cerebrali e delle vie di conduzione degli stimoli. Nei pazienti in coma, è necessario adottare qualche accorgimento specifico per l’esecuzione del test: per esempio, per lo studio dei potenziali evocati visivi, al posto del monitor con una scacchiera si usano speciali occhialini oppure si espone il paziente alla ripetizione di flash luminosi, che vengono captati dal nervo ottico nonostante il paziente non sia vigile.

Esistono controindicazioni per sottoporsi a questi esami?

L’analisi dei potenziali evocati è un test che non ha generalmente controindicazioni e non richiede la sospensione preliminare di farmaci. Il paziente non ha bisogno di essere accompagnato e può riprendere le proprie attività subito dopo l’esame.
L’applicazione degli elettrodi è indolore (vengono solo incollati) e gli stimoli somministrati sono innocui e ben tollerati dai pazienti, anche nel caso delle stimolazioni elettriche a bassissima intensità, per le quali subentra rapidamente una forma di assuefazione allo stimolo.
L’esecuzione del test, della durata di circa 45 minuti, ha solo due requisiti fondamentali:
  • una meticolosa preparazione del paziente: un tecnico neurofisiologo specializzato posiziona gli elettrodi in modo estremamente accurato, individuando con precisione le proiezioni sulla corteccia cerebrale delle aree stimolate;
  • una minima collaborazione da parte del paziente: più la persona è tranquilla e rilassata, migliore sarà la registrazione dei potenziali evocati, soprattutto per quanto riguarda l’analisi dei potenziali somatosensoriali.
 
 
 
Revisione medica a cura di: Dott. Fabrizio Rasi

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