Il cardiofrequenzimetro è un
dispositivo affidabile che dà indicazioni sulla frequenza cardiaca nelle varie fasi dell’attività fisica.
Grazie al suo utilizzo, chiunque è in grado di verificare, in base alla frequenza cardiaca raggiunta, il livello di allenamento ed eventualmente l’attività svolta specialmente se il lavoro è avvenuto in condizioni di adeguata ossigenazione (aerobia) oppure se si è andati oltre la soglia anaerobica.
Ci spiega meglio come funziona il
Dott. Paolo Pantaleo, Responsabile dell’Unità Operativa di
Cardiologia a
ICLAS - Istituto Clinico Ligure di Alta Specialità di Rapallo (GE).
Tutto ciò è subordinato ad una
frequenza teorica massima che ogni persona può calcolare in base all’età: il calcolo è piuttosto semplice.
“Basta sottrarre l’età della persona a un valore di 220. Il dato ottenuto è la frequenza massima teorica.”
Ad esempio, una persona di 50 anni ha una frequenza massima teorica di 170 battiti. Qualora venissero superati i battiti individuati con la frequenza cardiaca massima non succede niente dal punto di vista clinico, salvo in presenza di particolari problemi cardiologici per cui si deve prestare attenzione.
La
frequenza cardiaca massima è un numero di riferimento sul quale si basano le tabelle di allenamento. L’atleta non dovrebbe superare l’85% di questo valore. Per lavorare in condizioni di
aerobiosi, ossia quando l’apporto di ossigeno è sufficiente a perfondere la massa muscolare che lavora, si dovrebbe mantenere intorno al 70-75%.
Quando lo scambio di ossigeno non è più adeguato, si parla invece di
anaerobiosi e il soggetto svolge lo stesso esercizio mandando in stress il sistema. Il lavoro che eccede la disponibilità di ossigeno produce una serie di cataboliti ossia elementi che il corpo deve eliminare che alla fine determineranno la produzione di
acido lattico. Quanto meno uno è allenato e quanto più lavora in anaerobiosi, tanto maggiore è la produzione di acido lattico.
Quando una persona esegue esercizi intensi o prolungati in assenza di allenamento, il male a gambe, schiena e ai fasci muscolari interessati durante l’esercizio è proprio secondario a questa produzione eccessiva di acido lattico: non avendo avuto l’accortezza di lavorare utilizzando i quantitativi dovuti d’ossigeno disponibile, andare oltre soglia ha indotto la produzione di questo acido che poi darà i dolori noti.
Chiunque può beneficiarne: quello che importa, soprattutto nelle fasi di allenamento iniziale, non è il carico che si riesce a sostenere ma la durata dell’esercizio. L’importante non è che una persona riesca a percorrere 10 km in 20 minuti. L’importante è che la stessa persona riesca a sostenere lo stesso carico di lavoro per almeno 30-40 minuti.
Nel caso di sportivi non c’è il rischio di strafare:
quanto più uno è allenato tanto più difficilmente arriva ad eccessivi valori di frequenza.
In ogni caso, se una persona vuole svolgere
attività a livello agonistico, prima e durante o anche con scadenze fissate con il proprio allenatore, dovrà fare delle verifiche più dettagliate.
Si tratta di
prove da sforzo: un monitoraggio dell’attività cardiaca, della pressione e a volte anche del consumo di ossigeno con particolari dispositivi che fungono da indicatori di come si comporta il sistema cardiovascolare quando spinto all’estremo.
La fase del recupero post-allenamento
È poi importante verificare e monitorare quanto tempo occorre per tornare alle
frequenze cardiache di base: quanto più uno è allenato tanto più questo recupero è rapido.
Il recupero rappresenta infatti una
parte integrata nell’attività fisica e del training: finito un esercizio, qualunque esso sia, l’individuo non deve interromperlo bruscamente sedendosi o sdraiandosi ma deve fare la cosiddetta fase defatigante.
Questo perché un’interruzione brusca di un esercizio (a meno che ovviamente uno stia male) comporta in ogni caso un rapido calo di frequenza e pressione che talvolta può generare una condizione mal tollerata che può indurre nella persona capogiri, vertigini e addirittura svenimenti.
Il consiglio è quindi quello di dedicare sempre 5 minuti al defaticamento: in bici si può percorrere un tratto in piano, in cyclette si riducono i carichi, di corsa si riduce la velocità, tutto ciò per favorire il ritorno alle condizioni basali in maniera graduale.
Il cardiofrequenzimetro non ha una valenza diagnostica per aritmie o simili, a differenza di alcuni smartwatch che sono in grado di registrare una sorta di ECG, dispositivi simil-holter in grado di monitorare l’azione cardiaca.
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