Il paziente neurochirurgico è una
“sfida diagnostica”, in quanto all’ambulatorio specialistico arrivano persone affette da molteplici patologie, anche diverse tra loro. Della prima visita e del percorso diagnostico abbiamo parlato con il
Dott. Antonello Cèddia, neurochirurgo presso
Anthea Hospital di Bari,
Città di Lecce Hospital e Villa Torri Hospital a Bologna.
Chi è il paziente neurochirurgico
I pazienti neurochirurgici possono essere divisi in
due grandi gruppi:
- pazienti con sintomi neurologici a pertinenza o a partenza cerebrale o del sistema nervoso centrale, che comprende cervello e midollo spinale (aneurismi, anomalie congenite, infezioni);
- pazienti che hanno una sintomatologia legata alla degenerazione vertebrale, quindi a vertebre, ad articolazioni, a ipertrofia dei legamenti (traumi, osteoartrosi, patologie degenerative della colonna).
La prima visita
Il 50% dei pazienti arriva alla prima visita presso l’ambulatorio di Neurochirurgia con una diagnosi effettuata (generalmente perché il medico di medicina generale si è già rivolto ad altri specialisti come neurologo, endocrinologo, oculista, otorino) e ha eseguito buona parte delle indagini radiologiche, biologiche o strumentali che consentono di iniziare subito il consulto clinico in modo costruttivo.
Una parte di pazienti arriva, invece, senza cognizione di cosa possa aver determinato nel sistema nervoso i segni deficitari come perdita di vista e udito, la comparsa delle vertigini o di vomito mattutino. In questi casi, una
attenta anamnesi personale e un accurato esame obiettivo neurologico permettono allo specialista di iniziare un
percorso diagnostico che, dopo le indagini diagnostiche, porterà a pianificare trattamento.
Gli esami diagnostici
Il principale strumento di indagine diagnostica del Neurochirurgo è la
risonanza magnetica. A questa, in base ai casi, possono sostituirsi o aggiungersi generalmente:
- RX (per esempio dei segmenti ossei della colonna vertebrale);
- campo visivo (misurazione della visione );
- indagini motorie, sensitive, acustiche (tra cui elettromiografia e elettroneurografia);
- analisi del sangue (in caso di sospetta infiammazione osteoarticolare o problematiche all’ipofisi).
La visita in pazienti con sintomi periferici
Nei pazienti con sintomi periferici come il
dolore, la spasticità, la claudicatio neurologica (zoppia),
il dolore radicolare per la cervicobrachialgia o la sciatica, è fondamentale ascoltare il paziente sulle modalità di insorgenza del problema e sulla caratteristica clinica del dolore o del deficit motorio o sensitivo. L’esame obiettivo neurologico (in questo caso più semplice, rispetto a quello per le patologie del sistema nervoso centrale) e una diagnostica di base, che comprende la risonanza magnetica, consentono di iniziare una
terapia medica nella speranza che patologie infiammatorie come l’ernia del disco, patologie discali, lombari e cervicali possano rispondere positivamente al trattamento.
Dopo un periodo di terapia medica appropriata, se i sintomi regrediscono e i segni clinici mostrano un progressivo miglioramento, si passa a una terapia di contenimento. In caso contrario, si prendono in considerazione prima di tutto le opzioni chirurgiche mininvasive, da valutare da paziente a paziente.
I pazienti in età avanzata
Un’altra caratteristica dei pazienti neurochirurgici, che si presenta sempre più frequentemente, è l'età avanzata. Si tratta spesso di
malati tra i 70 e i 90 anni, con patologie associate, dismetaboliche o cardiologiche. Questi casi portano a una serie di sfide sia terapeutiche, per quanto riguarda la compatibilità dei farmaci con i problemi pregressi, sia dal punto di vista chirurgico.
Sono fondamentali una
sinergia tra il neurochirurgo e gli altri specialisti che hanno in cura questa tipologia di pazienti e, soprattutto, la corretta informazione al paziente e ai suoi familiari sulle varie opportunità di trattamento. Tutti i parenti vorrebbero che i loro cari recuperassero sempre una buona qualità della vita e superassero brillantemente interventi chirurgici, anche aggressivi, ma quando si parte da una condizione di handicap, questa difficilmente potrà essere colmata al 100%.
Si tratta, infatti, di pazienti solitamente con patologie degenerative della colonna vertebrale (fenomeni artrosici, artritici o post traumatici come le fratture spontanee nell’anziano) e che hanno comunque un’implicazione non tanto nella parte ossea, quanto nella compressione delle strutture. Si possono per questo determinare dopo un intervento chirurgico patologie ischemiche compressive sul midollo spinale (preoccupanti dal punto di vista della prognosi per un recupero di un buono stato di salute), oppure compressioni sulle radici lombari che impediscono una regolare e efficace deambulazione nel paziente anziano, che ha come obiettivo principale la propria autonomia motoria.