Clinica Privata Villalba / 29 giugno 2020

Disbiosi intestinale: un’alterazione della flora batterica che inficia la qualità della vita

Disbiosi intestinale: un’alterazione della flora batterica che inficia la qualità della vita
L’apparato digerente è la seconda superficie, dopo quella respiratoria, che è più a contatto con l’ambiente esterno. Su di esse vive una flora batterica, che varia da individuo a individuo ed è trasmessa geneticamente come un'unica impronta digitale: questo insieme di miliardi di batteri forma un organo a sé stante, chiamato microbiota, che normalmente è più concentrato in aree specifiche, quali la regione tra ileo e cieco e la regione rettale.
 
Quando c’è un buon equilibrio fisiologico tra i batteri con azione protettiva e quelli potenzialmente patogeni – spiega il prof. Massimo Campieri, responsabile dell’unità operativa di Gastroenterologia di Clinica Privata Villalba di Bologna – il soggetto è in una condizione di eubiosi. Con il termine disbiosi intestinale si intende invece genericamente una prevalenza di batteri con un’azione aggressiva sulla mucosa. I batteri che “abitano” il nostro intestino, ne regolano le normali funzionalità. Infatti, non solo conviviamo stabilmente con una grande quantità di batteri, ma anzi, questi sono fondamentali per la nostra salute. Al contrario, però, un’alterazione nel numero di batteri o nell’equilibrio tra agenti patogeni e batteri benigni, chiamati simbionti, può dare origine a una serie di sintomatologie patologiche.
 
A provocare l’alterazione della popolazione batterica dell’intestino possono essere tanti fattori: patologie come infezioni da virus o batteri, cambi di dieta o alimentazioni squilibrate, contaminazioni nella catena nutrizionale, terapie farmacologiche ecc.
Dal momento che sull’intestino si ripercuotono diversi stati emotivi negativi, non si può escludere che una sintomatologia riferibile alla disbiosi intestinale possa essere anche provocata da una somatizzazione d’ansia o depressione. Anche alcune sostanze che inaliamo respirando possono squilibrare la flora intestinale. Quindi il problema è complesso benché non grave.
 
Come riconoscere i campanelli d’allarme
Anche i sintomi più lievi di una disbiosi intestinale possono inficiare la qualità della vita di chi ne soffre. Generalmente, la disbiosi provoca una serie di sintomi a livello locale. I primi campanelli di allarme sono:
  • Cattiva digestione
  • Gonfiore addominale
  • Sensazione di intestino ingombro
  • Episodi di diarrea ripetuta o stitichezza
Anche le patologie di tipo infiammatorio o infettivo, che si manifestano con anomalie nelle secrezioni, possono essere spia di una disbiosi che può progredire poi tramutandosi in una vera e propria infezione o in un danneggiamento della mucosa che avvolge l’intestino. A lungo andare questo può diventare un fattore di rischio per poliposi e simili. Per questo motivo è fondamentale non sottovalutare mai la sintomatologia intestinale: anche se in linea generale la disbiosi dà una manifestazione fastidiosa ma benigna, può essere spia di una situazione che cela patologie significative, che vanno dunque escluse nella diagnosi.
 
Cosa fare se si accusano disturbi riferibili a una disbiosi intestinale
Se si accusano disturbi intestinali, anche lievi, per un periodo di tempo che si protrae, vale la pena informare il proprio medico che valuterà se approfondire con esami ulteriori. La visita dal gastroenterologo è dirimente per distinguere le varie patologie a carico dell’apparato digerente. Riconoscere una disbiosi è in primo luogo un problema clinico, per noi specialisti, perché bisogna sospettare che vi sia uno squilibrio della flora intestinale.
 
Ci si orienta verso una disbiosi quando mancano segni di infiammazione nel sangue, quando la calprotectina risulta negativa e quando un esame colonscopico esclude patologie significative.
Ad oggi non ci sono ancora test microbiologici esatti, sia per via della varianza genetica del microbiota, sia perché le variazioni sono temporalmente molto rapide. Possono esserci solo dei fattori di orientamento nella diagnosi.
 
Vi sono però dei test più specifici come il “disbiosi test”. Si tratta di un semplice esame delle urine con il quale si cercano tracce di indicano e scatolo, due molecole che, in concentrazione superiori alla soglia, sono spia di uno squilibrio della flora batterica. Molto utile è anche il test di permeabilità intestinale, come il breath test al lattulosio. Al paziente viene somministrato questo zucchero e lo si invita a soffiare in uno spirometro. Poi si misura la capacità di assorbimento dei gas da parte dell’intestino. Ancora, si può eseguire un esame parassitologico delle feci a fresco.
 
Una diagnosi accurata è infatti sempre importante, anche quando vi sono tanti buoni motivi per pensare che a una disbiosi: come internisti e gastroenterologici non possiamo astenerci da studi approfonditi per escludere patologie più severe come le diverticoliti, il colon irritabile, i polipi o anche le neoplasie in fase iniziale.
 
Una volta accertata una disbiosi intestinale, di norma viene prescritta una terapia di probiotici o prebiotici, i cosiddetti “fermenti lattici” che aiutano a riequilibrare la popolazione batterica dell’intestino. A questi, va associata una dieta che controlli la quantità di sostanze in grado di alterare la flora intestinale, come ad esempio i grassi e gli zuccheri.  La dieta mediterranea ricca di fibre, cereali, frutta, verdura, pesce e povera di carne rossa, per esempio, è uno stile alimentare che favorisce l’eubiosi. Vi sono sostanze contenute in alcuni oli essenziali che, somministrate in giusta quantità, hanno la capacità di favorire il riequilibrio dei microbioti, abbassando il livello dei batteri negativi e rialzando quello dei simbionti.
A livello farmacologico, invece, può essere prescritta la rifaximina, un antibiotico intestinale che ha proprio il compito di disinfettare l’organo.
 
Ogni paziente comunque dovrebbe consultare il medico, se accusa sintomi intestinali, perché le terapie sono estremamente personalizzate, più che in altre patologie: alcune sostanze vanno bene per qualcuno, ma non per altri. Trovare il giusto approccio farmacologico per il paziente è dunque fondamentale.
 
L’impatto sulla qualità della vita e la necessità di ascoltare il paziente
I disturbi causati da una disbiosi intestinale sono frequenti e sono in genere disturbi benigni che non nascondono, se non raramente, patologie più importanti. Sono però fastidiosi e socialmente imbarazzanti. Ad esempio, possiamo intervenire per ridurre gonfiore intestinale, ma non ci sono i mezzi per farlo scomparire completamente. La via da percorrere è invece lenta, ma è quella della rieducazione alimentare e del promuovere l’attivita fisica, che favorisce l’eubiosi.
 
Ci sono poi legami con altre patologie che espongono il paziente alla disbiosi. Ad esempio, sappiamo che un episodio di gastroenterite infettiva lascia la flora alterata nel tempo, mentre episodi infettivi come la salmonellosi possono creare micro o macro infiammazioni intestinali, con strascichi che possono svilupparsi. Ad esempio, tra le conseguenze di un’infezione da salmonella può esserci la sensibilità al glutine.
 
Il problema della disbiosi è dunque frequente e nella grande maggioranze dei casi, benigno. Ciononostante, non bisogna sottovalutarlo o trascurare la fase di diagnosi, per escludere patologie più significative. Bisogna poi avere pazienza nell’adeguare l’alimentazione e lo stile di vita per favorire l’equilibrio tra batteri buoni e quelli patogeni, perché questo approccio è più lento, ma dà esiti soddisfacenti.
 

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