L’endometriosi è una malattia femminile che, se non diagnosticata in tempo, può incidere negativamente sulla qualità della vita di una donna, determinandone anche l’infertilità. Capiamo meglio assieme al
dott. Giuseppe Sorrenti, Responsabile dell’
Unità Operativa Complessa (UOC) di Ginecologia presso
l’Ospedale San Carlo di Nancy di Roma, come diagnosticare questa patologia e quali sono i percorsi possibili per raggiungere la gravidanza.
Endometriosi: quali sono i campanelli d’allarme
“La malattia è cronica – spiega il dott. Sorrenti – e colpisce le donne in età fertile, in particolare
la fascia dai 15 ai 35 anni, essendo legata agli ormoni sessuali femminili. Si rende manifesta inizialmente con un dolore che può essere correlato al ciclo mestruale (dismenorrea), oppure ai rapporti sessuali (dispareunia).
Il ritardo diagnostico di questa patologia è enorme, pari a circa 7 anni dall’insorgenza dei sintomi. Spesso, infatti, le donne ‘migrano’ da un ginecologo all’altro per cercare di riconoscere le motivazioni che alterano la loro qualità di vita collegata al ciclo mestruale. Dopo i 30 anni, generalmente si ha una riduzione della capacità fertile e ciò può rappresentare un primo indizio per spingere la paziente verso un ambulatorio dedicato alla patologia”.
La diagnosi e il trattamento
“Esistono delle
metodiche non invasive – spiega il dott. Sorrenti – come
l’ecografia transvaginale eseguita da esperti o la risonanza magnetica, che ci consentono di fare una diagnosi di endometriosi con una
affidabilità superiore al 95%. Il trattamento è distinto per il tipo di sintomo riferito dalla paziente. Allo stesso tempo, i farmaci che oggi abbiamo a disposizione ci consentono di trattare molto bene la sintomatologia dolorosa”.
Il percorso da affrontare per rimanere incinta
“L’endometriosi determina l’infertilità in due maniere diverse. Da una parte, può esserci
un’alterazione anatomica degli organi pelvici interni, che ostacola l’interazione tra la tuba e l’ovaio. Dall’altra, un danno di tipo anatomopatologico che porta ad
un’alterazione qualitativa degli ovociti e che peggiora con il passare del tempo. È fondamentale capire quali dei due danni siano presenti nella paziente. Il danno anatomico è risolvibile ricorrendo ad una tecnica di
procreazione medicalmente assistita (Pma) ed è paragonabile, in termini di risultati, ad una donna che per altri motivi ha subito una salpingectomia, ossia l’asportazione di una o entrambe le tube. In questi casi, i successi sono molto elevati e superano il 30%”.
“Il danno anatomico degli ovociti è invece un problema che si verifica superati i 30 o 35 anni e, in questo caso, spesso si è costretti a ricorrere a
Pma di tipo eterologo, ossia si ricorre ad ovociti di una donatrice per ottenere una gravidanza in percentuali maggiori”.
“A tal proposito – conclude il dott. Sorrenti – voglio lanciare un messaggio che nell’ambulatorio da me diretto riferiamo continuamente alle nostre pazienti, ovvero
l’importanza della metodica del ‘social freezing’. Suggeriamo a tutte le pazienti con diagnosi di endometriosi, al di sotto dei 30 anni, di effettuare una stimolazione, un pick-up e, dunque, una
crioconservazione ovocitaria in età giovanile. Questo intervento consente di mettere in ‘banca’ i propri ovociti ed eventualmente sottoporsi ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita dopo i 35 anni, con una percentuale di successo abbastanza elevata”.
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