La prostata è una ghiandola con una fondamentale funzione nell’apparato genitale maschile: produce il liquido prostatico, elemento costituente dello sperma. Come ogni parte del nostro organismo, può essere soggetta a patologie, fra le quali hanno un’incidenza maggiore quelle benigne. Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha dato ottimi frutti, dando una speranza in più anche nel caso di
diagnosi di tumore alla prostata: nonostante la sua alta frequenza, questo carcinoma è anche
fra quelli con le più elevate possibilità di sopravvivenza, grazie all’
evoluzione e al perfezionamento delle tecniche di diagnosi e di intervento. Presso l’
Unità di Urologia dell’ospedale San Pier Damiano Hospital di Faenza si mettono in pratica i più avanzati metodi di prevenzione, diagnosi e cura delle patologie che interessano prostata, uretra, vescica e genitali maschili. Fra le tecniche nel cui utilizzo gli specialisti vantano ampia esperienza, c’è la
biopsia fusion, particolarmente preziosa nella diagnosi di tumore alla prostata, che è il primo diagnosticato nei pazienti di sesso maschile. I numeri ci danno una prima idea della sua diffusione: fra tutti quelli che interessano gli uomini, il tumore prostatico rappresenta il 20% e circa 1 soggetto su 8 ha la possibilità di esserne colpito.
Quali sono le cause di tumore alla prostata?
Non esiste una causa ben definita dell’insorgere di questa patologia ma, in particolare nei paesi occidentali, sono da considerare i fattori di rischio, che comprendono l’età, la familiarità, eventuali mutazioni genetiche, alterazioni ormonali e lo stile di vita.
Sono soprattutto gli uomini dopo i 50 anni e ancora di più dopo i 65 a rischiare di sviluppare questa patologia. Dopo gli 80 anni d’età, la percentuale di pazienti con tumore prostatico sale perfino al 70%. Se poi il soggetto ha parenti di primo grado (padre, fratelli, ecc.) colpiti da questo carcinoma, raddoppia il suo rischio di svilupparla a sua volta. Studi recenti hanno messo in luce l’importante ruolo delle mutazioni genetiche ereditarie: secondo i dati della rivista New England Journal of Medicine, circa il 12% dei pazienti con tumore alla prostata presenta alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, coinvolti nella riparazione del DNA. A livello ormonale, anche un’alta quantità di testosterone o di ormone IGF1 può favorire la crescita delle cellule prostatiche. Infine,
non è da sottovalutare la negativa influenza di quelle abitudini non salutari purtroppo molto comuni nel mondo occidentale: il
mancato controllo del peso corporeo, poca attività fisica e un’alimentazione molto ricca sono tutti fattori negativi per il nostro organismo.
Quali sono i sintomi del tumore alla prostata
Riconoscere i sintomi di un tumore prostatico non è semplice, poiché nelle sue fasi iniziali spesso si assiste solo a un ingrossamento della ghiandola. Questo causa una compressione dell’uretra e altera quindi il deflusso dell’urina. Ma in seguito a queste primissime avvisaglie, il paziente può essere soggetto a:
- frequente bisogno di urinare
- difficoltà nell’urinare e nello svuotare la vescica, spesso associata a dolore
- comparsa di sangue nello sperma o nell’urina
Molto importante è quindi il ruolo della
prevenzione e della visita urologica. Gli uomini
con più di 50 anni d’età dovrebbero sottoporsi ogni 12 mesi ad analisi specifiche per verificare il livello di PSA (Antigene Prostatico Specifico): se questa proteina risulta presente nel sangue in alta quantità, è necessario procedere ad accertamenti ulteriori per distinguere la semplice infiammazione della prostata dalla presenza di un carcinoma. La biopsia, con il prelievo di tessuto e l’esame istologico, è infine l’unica metodica in grado di identificare con certezza le cellule tumorali.
Funzionamento e vantaggi della biopsia fusion
Ancora più precisa ed evoluta della biopsia tradizionale, la biopsia fusion è una tecnica mininvasiva che porta diversi benefici al paziente:
- a meno prelievi prostatici corrisponde la riduzione di possibili complicanze (presenza di sangue nello sperma, nelle urine o nel retto, oppure infezioni urinarie)
- si riduce il rischio di falsi negativi o diagnosi ritardate, in quanto si evidenzia la presenza sia di tumori meno rilevanti sia di quelli più aggressivi
- è possibile valutare l’intervento adatto alla singola situazione, evitando così l’eccesso di trattamento
- la ripresa è la più rapida possibile
Il procedimento prevede l
’associazione delle immagini ottenute tramite ecografia endorettale a quelle della risonanza magnetica multiparametrica, che il paziente deve portare con sé per consentire la fusione software. Questo permette di individuare l’esatta area di tessuto da sottoporre all’esame istologico. La sovrapposizione delle immagini dà al medico la possibilità di procedere con il prelievo transrettale ecoguidato: nelle aree bersaglio individuate si esegue un prelievo mirato e associabile se necessario anche a prelievi random.
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