Maria Pia Hospital / 15 febbraio 2018

Malattie della prostata: evoluzione delle tecniche chirurgiche

Malattie della prostata: evoluzione delle tecniche chirurgiche
Il Dottor Antonio De Zan, specialista in Urologia di Maria Pia Hospital, illustra le tecniche oggi disponibili nella risoluzione dell’ipertrofia benigna e nella cura del carcinoma

Dottor De Zan, com’è cambiata la chirurgia della prostata?
“Prendiamo in considerazione il trattamento dell’Ipertrofia prostatica benigna (IPB), cioè la patologia più comune e responsabile di frequenti disturbi della minzione. Negli scorsi decenni la terapia chirurgica ed endoscopica si sono certamente evolute; soprattutto in virtù del continuo progresso tecnologico. Tuttavia, in ambito urologico dobbiamo ancora considerarla come una chirurgia impegnativa: sia per lo specialista sia per il paziente. Fermo restando le migliorie apportate alle opzioni terapeutiche attualmente disponibili”.

È possibile prevenire le malattie della prostata?
“Si può attuare una prevenzione inerente le malattie infiammatorie prostatiche attraverso un appropriato stile di vita.  Stili di vita ad impronta ‘salutistica’ possono, forse, influire sulla prevenzione delle complicanze dell’ipertrofia benigna, ma non si sono dimostrati utili, in modo evidente, nel contrasto al carcinoma”.

Le tecniche mininvasive hanno soppiantato le metodiche classiche?
“La cosiddetta mininvasività, essenzialmente endoscopica, non deve generare false aspettative di trattamenti privi di problematiche emorragiche, anestesiologiche e funzionali dell’apparato genito-urinario, in quanto applicati ad un organo molto vascolarizzato e coinvolto nelle funzioni minzionali e sessuali. Rispetto alla chirurgia endoscopica, la chirurgia classica, o a cielo aperto, che consiste nell’asportazione della parte ipertrofica della prostata (adenomatosi) sia per via trans-vescicale che retro-pubica, trova ancora oggi applicazione nelle ipertrofie molto voluminose, specie se associate a patologie secondarie come i calcoli - di grosse dimensioni - o le diverticolosi. Per comprendere meglio questo concetto, si pensi agli adenomi di 5-6 centimetri, la cui rimozione endoscopica può richiedere ‘finestre’ operatorie anche oltre le 2 ore, a fronte della ‘tradizionale’ ablazione con chirurgia open in 40-90 minuti. A tal proposito è fondamentale la distinzione fra semplice asportazione di una certa percentuale di tessuto adenomatoso a scopo disostruttivo (non definitiva) e l’asportazione completa dell’intero l’adenoma. 

Le tecniche non chirurgiche di cui dispone la moderna Urologia sono riassumibili in:
- resezione trans-uretrale (detta TURP) eseguita con energia monopolare; la più usata nel mondo;
- TURP con energia bipolare, evoluzione della precedente, la cui variante a radiofrequenze è adottata dall’Urologia di Maria Pia Hospital.

Di contro, le varie metodiche fisiche come crioterapia, termoablazione, alcolizzazione non consentono di ottenere buone percentuali di successo clinico”.

L’utilizzo del laser viene in aiuto degli specialisti?
“Il laser è un’ulteriore evoluzione della terapia endoscopica; avrà sempre maggiori consensi e sviluppi in futuro. Le varianti in uso comprendono la vaporizzazione del tessuto malato mediante ‘luce verde” (Green Laser) e la vaporesezione dell’adenoma con Laser Olmio o Laser Thullio. Queste sorgenti di energia permettono di ‘eliminare’ il tessuto adenomatoso con minore sanguinamento e la possibilità di rimuovere in tempi brevi il catetere vescicale, riducendo i giorni di ricovero e convalescenza”.

Quali sono le principali patologie trattate chirurgicamente?
“La patologia ipertrofica benigna ostruente e il carcinoma prostatico”.

Il tumore prostatico è in aumento?
“Rispetto al carcinoma prostatico, si può dire che sono in aumento i casi, più che la frequenza (non dimostrata), a seguito di percorsi diagnostici più precoci favoriti dalla periodica analisi del PSA (con un semplice prelievo di sangue), dallo screening volontario e da altre innovative tecniche d’indagine. Tutto ciò ha contribuito a fare del carcinoma prostatico la patologia oncologica a maggior riscontro in certe fasce di età; anche se non corrisponde ad una mortalità più elevata”.

Dopo l’asportazione completa della ghiandola malata, cosa è possibile fare per migliorare la condizione psicofisica del paziente?
“L’ablazione radicale della prostata a causa di un tumore maligno (in alternativa alla Radioterapia) può causare due problemi:
- di ordine minzionale, c’è il rischio di sviluppare un’incontinenza urinaria totale o parziale, temporanea o permanente.
- di ordine sessuale, ovvero la scomparsa dell’eiaculazione e molto probabilmente della funzione erettile.
Ai primi si può ovviare adottando tecniche chirurgiche estremamente precise e rispettose del sistema sfinteriale, accompagnate da un eventuale programma di fisiokinesiterapia post-operatoria del pavimento pelvico.
Per quel che riguarda l’eiaculazione, non vi sono possibilità di recupero. Mentre l’erezione, in casi molto selezionati, può essere salvaguardata o riattivata grazie a presidi farmacologici e/o chirurgici aggiuntivi. Ciò comporta altresì una preparazione pre e post-chirurgica del paziente”.
 

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