Le cellule che compongono l’osso hanno bisogno di essere irrorate con un corretto afflusso sanguigno. Se questo viene meno, allora le cellule possono morire progressivamente, portando l’osso verso la necrosi.
L’osteonecrosi è, letteralmente, “la morte del tessuto osseo”.
Tutte le ossa possano essere soggette a necrosi ma le parti più frequentemente interessate sono le porzioni terminali delle ossa lunghe (epifisi). In particolare è
l’osteonecrosi della testa del femore quella preponderante. La patologia colpisce perlopiù una fascia pienamente attiva,
tra i 40 e i 50 anni ed incide molto negativamente sulla qualità della vita.
Una diagnosi tempestiva è fondamentale per intervenire in modo risolutivo.
Come riconoscere per tempo l’osteonecrosi per limitare l’impatto sulla vita quotidiana? Lo spiega il Prof. Rinaldo Giancola, Responsabile dell’
Ortopedia di
G.B. Mangioni Hospital di Lecco e Past President della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia geriatrica.
Professor Giancola, quali sintomi avverte il paziente con osteonecrosi?
Il dolore è il primo sintomo dell’osteonecrosi e si manifesta
all’inizio sotto carico e poi anche a riposo, spesso di notte. Non migliora con gli analgesici e con gli antinfiammatori. La sintomatologia dolorosa è talmente accentuata da rendere sempre più difficili i movimenti. A una stadiazione molto avanzata della patologia, l’osso è così debole che si verificano
fratture spontanee.
Nel caso più comune dell’osteonecrosi della testa del femore, che si inserisce nell’articolazione dell’anca, deambulare senza ausilii diventa molto difficoltoso.
Perché può essere difficile diagnosticare l’osteonecrosi?
L’osteonecrosi è una patologia “subdola” perché sfugge alle radiografie. Spesso il paziente che accusa questi forti dolori si rivolge al medico di base che, a sua volta, prescrive la radiografia tradizionale. L’esito non evidenzia nulla di anomalo, ma si tratta di un falso negativo. Senza terapia, il dolore continua e la necrosi avanza, talvolta anche per mesi, prima che il paziente sia indirizzato a una visita specialistica dall’ortopedico. L’anamnesi accurata e la Risonanza Magnetica permettono di arrivare alla diagnosi.
Una volta accertata la patologia, qual è il trattamento?
Come accennato, spesso il paziente giunge dallo specialista che già presenta un edema midollare acuto, cioè un accumulo anomalo di liquido all'interno dell'osso: si tratta di un prodromo dell’osteonecrosi vera e propria.
A questi livelli vengono di solito prescritti farmaci bifosfonati, che tuttavia non rappresentano una terapia sufficiente. Per intervenire sul dolore si può invece praticare la
Core-Decompression (microperforazioni) associata a trattamenti di
medicina rigenerativa con PRP.
In cosa consiste?
La
Core-decompression è una tecnica chirurgica che consiste nel realizzare un canale nell’osso malato, per diminuire la pressione interna e migliorare l’afflusso di sangue. Questa decompressione interviene subito sul sintomo e, in casi iniziali, funziona anche sulle cause della necrosi. Può essere combinata a un trattamento di medicina rigenerativa come il PRP o Plasma Ricco di Piastrine. Dal plasma dello stesso paziente si ottiene una sorta di gel di concentrato piastrinico che viene iniettato nella zona interessata dalla necrosi. Le piastrine hanno il “potere” di risanare i tessuti danneggiati.
La chirurgia è sempre necessaria per trattare l’osteonecrosi?
Si possono seguire
terapie conservative fisiche o farmacologiche. Hanno successo solo se si interviene ai primi sintomi. Includono la terapia iperbarica, l'impiego di campi magnetici e la somministrazione di farmaci quali anticoagulanti, vasodilatatori, bifosfonati e statine.
Il trattamento chirurgico è più efficace anche in stadi progressivi della patologia. Ci sono diverse tecniche, con diversi gradi di invasività.
A quali tecniche chirurgiche si ricorre?
Le tecniche chirurgiche più invasive sono l’innesto autologo di osso sano all’interno della porzione di osso necrotico e la protesi.
L’innesto di osso sano è una tecnica che a fronte di una grande invasività, ha un’efficacia incerta.
La protesi è invece una tecnica tradizionale, invasiva, con un post-operatorio importante, ma che risolve il problema alla radice.
Ci sono poi tecniche chirurgiche meno impattanti in termini di incisioni e perdita di tessuti, ma comunque efficaci. Possono inoltre essere combinate con tecniche di medicina rigenerativa come il PRP.
Tali tecniche sono la già descritta
Core-Decompression e
la tecnica BIOSS, che è una procedura mininvasiva emersa negli ultimi anni.
In cosa consiste la tecnica chirurgica BIOSS?
Consiste nell’inserire una sola vite di 8 mm e provvista di fori all’interno dell’osso danneggiato. Richiede una sola piccola incisione, riducendo molto quindi il sanguinamento in fase operatoria. Attraverso i fori della vite vengono iniettate le sostanze che rigenerano l’osso, come appunto il gel piastrinico.
I vantaggi: grazie alla sua mininvasività anche il paziente con necrosi della testa del femore può riprendere a deambulare subito dopo l’intervento; dà benefici immediati sui sintomi dolorosi.
In stadi non avanzati è un trattamento spesso risolutivo perché il PRP riesce a rigenerare l’osso. In altri casi, invece, un intervento protesico potrebbe comunque essere necessario. La tecnica BIOSS non lo pregiudica e comunque rappresenta una cura importante e immediata del sintomo che danneggia la vita del paziente.
Quali sono i campanelli d’allarme che rendono consigliabile rivolgersi al più presto all’ortopedico?
Per capire a quali campanelli d’allarme prestare attenzione è importante conoscere le cause dell’osteonecrosi e i fattori di rischio. Come già detto, l’osteonecrosi è sempre provocata da un insufficiente afflusso di sangue al tessuto osseo. Ma cosa provoca questa interruzione? Da un lato ci sono
i traumi di forte intensità, come ad esempio urti violenti, incidenti, cadute e casistiche simili. Dall’altro le cause atraumatiche. Tra queste, l’abuso di alcool e le terapie con farmaci corticosteroidi provocano circa il 70% dei casi. Il restante 30, è dovuto a
patologie cardiovascolari, tra cui embolismi, problemi di coagulazione ecc.
Tra i fattori di rischio la componente familiare è piuttosto rilevante. Se si sono verificate una o più di queste condizioni, in presenza della sintomatologia descritta, allora è opportuno rivolgersi all’ortopedico e riferire tutte le informazioni utili in fase di anamnesi.
Per informazioni e prenotazioni sul trattamento dell'osteonecrosi telefona allo 0341 478111 o scrivi a G.B. Mangioni Hospital.