Alluce rigido: cos’è e come intervenire

Alluce rigido: cos’è e come intervenire
L’alluce rigido è una patologia che colpisce le articolazioni dell’alluce, il primo dito del piede. Si tratta di una condizione piuttosto frequente nella popolazione over 50, dove l’incidenza tocca il 2,5%. Le donne sono più spesso soggette a questa patologia rispetto agli uomini. 

Ne parla il Dott. Michele Risi, specialista in Ortopedia e Traumatologia presso il Primus Forlì Medical Center.

Che cos’è l’alluce rigido?

L’alluce rigido è una patologia degenerativa che colpisce l’articolazione del primo dito del piede, ovvero l’articolazione metatarso-falangea. Non va però confusa con l’alluce valgo
Infatti l’alluce rigido riduce la funzionalità dei movimenti in flessione ed estensione, ma anatomicamente la struttura rimane “normale”. 
Nell’alluce valgo invece c’è una deviazione laterale del primo dito, verso le altre dita, ma non c’è (di solito) una perdita di funzionalità in flessione e estensione.

Come si manifesta?

I sintomi tipici dell’alluce rigido sono il dolore e la perdita di capacità di movimento dell’articolazione del primo dito del piede. L’esordio è progressivo e la patologia degenera con il tempo.
Inizialmente, il dolore è solo occasionale, ad esempio quando si indossano calzature strette. Successivamente però il dolore diventa cronico e invalidante. Alcune abitudini quotidiane diventano problematiche: indossare scarpe chiuse, sollevarsi sulla punta dei piedi, camminare.

Insieme al dolore e alle difficoltà di movimento, si forma progressivamente una zona tumefatta e dura sull’alluce, dovuta alle escrescenze ossee che si formano con il processo degenerativo dell’articolazione.
A volte, l’alluce rigido si associa a altre problematiche del piede. La più frequente è il dolore della pianta del piede, proprio sotto la base delle dita: si chiama metatarsalgia. In presenza di alluci rigidi, la metatarsalgia è causata da un sovraccarico delle articolazioni delle altre dita. 

Quali sono le cause?

Le cause non sono ancora chiare. La patologia può manifestarsi semplicemente con l’età, anche in soggetti che non hanno fattori predisponenti.
Tra i fattori predisponenti comunque possiamo citare un trauma, oppure dei microtraumi continuativi: è il caso di chi gioca a calcio o indossa le punte da danza per molti anni, per esempio. Ma non è stato ancora descritto un nesso causa - effetto.

Come si fa la diagnosi?

La prima cosa da fare è un’analisi clinica per distinguere i sintomi dell’alluce rigido da quelli dell’alluce valgo o per esempio della gotta. Quindi l’ortopedico durante la visita raccoglie l’anamnesi del paziente, chiedendo informazioni specifiche sui sintomi, e poi procede ad un’osservazione clinica del primo dito.
Per confermare la diagnosi, si effettua una radiografia. L’esame radiologico è utile anche e soprattutto per determinare lo stadio di severità della patologia.

In cosa consiste il trattamento?

Il trattamento dell’alluce rigido dipende dallo stadio della degenerazione.
Se si interviene in fasi iniziali, si può usare una terapia conservativa con farmaci a base di cortisone, sedute di fisioterapia, plantari e calzature specifiche.
Se la degenerazione è avanzata occorre un approccio chirurgico.

A volte può essere sufficiente la cosiddetta "cheilectomia", cioè la rimozione delle parti di osso in esubero. Oggi a questo trattamento viene associato il trattamento di medicina rigenerativa con cellule staminali. Tali cellule vengono prelevate dal paziente stesso (dal tessuto adiposo o dal midollo osseo) e vengono depurate e lavorate. La soluzione ottenuta viene iniettata in loco nell’articolazione e contribuisce a riparare e rigenerare i tessuti.
Quando la patologia è avanzata e l’articolazione è fortemente compromessa, allora si passa ad interventi chirurgici di artroplastica, con impianto di protesi.

Dopo il trattamento si recupera una qualità della vita normale?

In genere il recupero è veloce anche dopo l’artroplastica. Il paziente indossa una calzatura specifica e già pochi giorni dopo l’intervento può tornare a camminare.
Grossomodo, dopo un mese può già indossare scarpe sportive e dopo tre mesi può praticare sport e attività fisica. Nella fase di recupero è importante seguire tutte le indicazioni fornite dall’ortopedico. 
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Revisione medica a cura di: Dott. Michele Risi

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