La storia di Riccardo
Riccardo è un sottufficiale dei Carabinieri originario dell’Alto Garda Trentino; la sua è una condizione dolorosa, che incide in maniera significativa sulla qualità della sua vita:"A 53 anni non riuscivo più a fare quei semplici gesti quotidiani, come ad esempio lavarmi i denti, farmi la barba, mangiare e bere o prendere il portafogli dalla tasca dei pantaloni. Questo a causa di un incidente stradale motociclistico occorso nel 2013 che mi aveva procurato una brutta frattura scomposta alla testa omerale, aggravata negli anni successivi da importanti fenomeni artrosici che mi avevano precluso la possibilità di utilizzare l’arto destro in modo normale”.
Nel maggio 2008 il paziente aveva subito una frattura scomposta della testa dell’omero a causa di un sinistro stradale. L’intervento, eseguito in altra struttura in Regione, all’epoca aveva consentito di ricostruire parzialmente l’articolazione mediante mezzi di sintesi. Tuttavia, l’importante trauma subìto aveva portato negli anni seguenti all’inevitabile sviluppo di un’artrosi severa, con gravi dolori e impedimenti anche nei più semplici movimenti quotidiani.
La svolta arriva dopo essersi rivolto all'équipe di Ortopedia e Traumatologia di G.B. Mangioni Hospital di Lecco. L'analisi del caso e l'utilizzo di una protesi di ultima generazione ha portato alla buona riuscita di un complesso intervento di chirurgia protesica che ha restituito autonomia al 54enne.
L'iter diagnostico e l'intervento di chirurgia protesica
“Quando il paziente ha deciso di rivolgersi a noi per dare una svolta alla sua qualità di vita, abbiamo subito eseguito tutti gli esami diagnostici, TC, Risonanza Magnetica e radiografia, per poter capire quale fosse l’entità del problema e considerare ogni possibilità di recupero – spiega il dott. Tiziano Villa, responsabile dell’U.O. di Ortopedia e Traumatologia a G.B. Mangioni Hospital, specializzato in particolare nella chirurgia protesico-ricostruttiva di anca, ginocchio e spalla –. Purtroppo le immagini ci hanno mostrato una situazione estremamente drammatica sia per l’irreparabilità del danno sia per la difficoltà di intervento che ci si prospettava”.
Gli esiti diagnostici mostravano una spalla anchilotica con solo un 15% di movimento naturale residuo. L’équipe di Ortopedia guidata dal dott. Villa ha optato quindi per un intervento di chirurgia protesica utilizzando una protesi inversa di ultima generazione. Questa tipologia di protesi si chiama inversa perché, rispetto ad una protesi anatomica, inverte le superfici dell'articolazione scapolo-omerale; viene solitamente impiegata in caso di lesioni gravi e irreparabili ovvero quando le strutture con strutture tendinee che costituiscono la cuffia dei rotatori sono totalmente degenerate, ed è indicata per situazioni particolarmente complesse e in casi di re-intervento.
“La protesi d’avanguardia impiegata, ci ha consentito di utilizzare una superficie di contatto degli elementi protesici aumentata conferendo un’eccezionale stabilità dell’impianto stesso. In questo caso la superficie di contatto è molto più estesa, c’è quindi una minor pressione sulle strutture, e il movimento che ne deriva è estremamente più naturale, fluido e costante ed il rischio di lussazione dell’impianto nettamente ridotto. Il paziente ha così la possibilità di svolgere un maggior numero di attività in condizioni di sicurezza. Consideriamo infatti che per l’età e per il lavoro che svolge, il ritorno alla normalità per il paziente era fondamentale. Dovevamo dunque individuare il trattamento migliore possibile che consentisse un ritorno a performance elevate, e posso affermare che abbiamo conseguito l’obiettivo ottenendo un risultato chirurgico eccellente”, commenta il dott. Villa.
Un intervento straordinario nell’ambito della chirurgia protesica della spalla, durato oltre 3 ore, con approccio mininvasivo. Gli ottimi esiti sono stati dimostrati da un recupero della mobilità dell’arto del 50% a distanza di un mese dall’operazione, dopo solo una settimana di fisioterapia.
Protesi e attività sportiva
Una protesi può avere una durata media di 15-20 anni; per le protesi di ultima generazione non si hanno ancora dati di follow up a lungo termine, ma l’aspettativa è quella di superare questa durata. Durata tuttavia che può essere raggiunta solo avendo cura della protesi. Ciò significa evitare le attività che richiedono uno sforzo fisico significativo (l’indicazione è quella di non superare gli 8-10 kg di carico massimo per evitare di sollecitare eccessivamente l’impianto). Questo perché l’usura che deriva da movimenti di tipo intensivo è superiore, facendo durare meno la protesi.