Anthea Hospital - Bari / 06 novembre 2017

Scompenso cardiaco associato alla fibrillazione atriale: come trattarlo. Intervista al dottor De Martino

Scompenso cardiaco associato alla fibrillazione atriale: come trattarlo. Intervista al dottor De Martino
Lo scompenso cardiaco è una condizione nella quale il cuore si indebolisce e pompa meno sangue, provocando affanno e dispnea nei pazienti. Spesso a questa patologia si associa fibrillazione atriale e il rischio è la morte improvvisa. Oggi però grazie alla diagnosi precoce, le terapie farmacologiche e non, e i nuovi dispositivi applicati attraversi interventi minimamente invasivi, in sinergia da aritmologo e cardiochirurgo, la sopravvivenza dei pazienti scompensati affetti anche da fibrillazione atriale è aumentata del 70-80 per cento.
 
Ne parliamo con il dottor Giuseppe De Martino, responsabile della Aritmologia ed Elettrofisiologia di Anthea Hospital a Bari.
 
Dottor De Martino, quali sono i sintomi dello scompenso cardiaco?
Lo scompenso è una condizione nella quale il cuore non ha più la sua forza nel pompare il sangue che per questo ristagna nel cuore e si accumula nei polmoni dando affanno. Il paziente avverte dispnea prima sotto sforzi più intensi, poi sotto sforzi lievi e addirittura anche a riposo. Un altro sintomo classico dello scompenso è il gonfiore degli arti inferiori per poi arrivare, in casi più gravi, alla sincope.
 
Come si diagnostica lo scompenso?
La difficoltà più grande nello scompenso è proprio quella diagnostica perché l’affanno, il principale sintomo dello scompenso, può essere riconducibile anche ad altre malattie, ad esempio polmonari. La diagnosi dello scompenso prevede due esami: quello principe è l’ecocardiogramma grazie al quale noi cardiologi riusciamo a capire se il cuore si contrare meno, se lo fa in maniera più debole rispetto al solito e in questi casi si parla di scompenso sistolico.  Esiste anche uno scompenso  più subdolo che si fa spesso fatica a riscontrare ed è lo scompenso diastolico, in cui il cuore si contrare bene, ma si rilascia a fatica, questo rilasciamento alterato determina un aumento delle pressioni  al suo interno e genera i classici sintomi della malattia. In genere lo scompenso diastolico colpisce gli anziani con cardiopatie ipertensive e si accompagna a fibrillazione atriale. Lo scompenso va cercato e riconosciuto anche con il dosaggio dei peptidi natriuretici atriali, ormoni prodotti da cellule miocardiche che si trovano nell’atrio. Con un semplice prelievo di sangue si può capire se tali valori sono alterati.
 
Allo scompenso si può aggiungere anche la fibrillazione atriale. Come si procede in questi casi?
 La fibrillazione atriale può sovrapporsi spesso allo scompenso cardiaco e questo accade nel 30% dei casi. Quando arriva la fibrillazione determina un drastico peggioramento dei sintomi, e anche della prognosi, e si crea un circolo vizioso tra le due patologie: lo scompenso può favorire la fibrillazione e la fibrillazione può portare a un peggioramento dello scompenso. Diventa fondamentale intervenire subito e agire su su più livelli. Una possibilità terapeutica è la ablazione transcatetere che – come dimostrato dalla recente letteratura scientifica - riduce del 50% gli episodi di fibrillazione nel paziente con scompenso e di conseguenza aumenta la sopravvivenza.  
 
L’ablazione oggi non è solo transcatetere. Esiste una procedura all’avanguardia?
Punta di diamante della nostra attività è una procedura che effettuiamo in stretta collaborazione con i cardiochirurghi e che ci consente di approcciare alla fibrillazione sia dall’interno che dall’esterno del cuore. Attraverso piccole punture sul torace o un piccolo taglio viene passato uno speciale device nell’atrio sinistro attraverso il quale viene erogata energia a radiofrequenza che isola l’atrio in due parti, compresa tutta la parte posteriore dove annidano le cellule che danno fibrillazione atriale. La  procedura si chiama ablazione endoepicardica, di ultima generazione, particolarmente performante viene utilizzata nei pazienti con fibrillazione persistente e perdurante. E’ possibile realizzare questo intervento solo con una stretta collaborazione tra aritmologo e cardiochirurgo. I risultati sono molto interessanti e il successo oggi  è molto elevato. Con questa tecnica che richiede un team multidisciplinare siamo passati dal 50-60% al 70-80% di successo.
 
Quali altri interventi sono possibili?  
Un altro caposaldo della terapia dello scompenso rimane la resincronizzazione cardiaca che prevede il posizionamento di alcuni fili nella parte destra e di uno nella parte sinistra del cuore e serve a stimolare contemporaneamente i due ventricoli, e aiutarli a contrarsi meglio. La resincronizzazione cardiaca si utilizza quando la branca sinistra del cuore è disfunzionante e si applica un defibrillatore biventricolare, dotato di due fili in ventricolo e uno in atrio.  Questa tecnica è utile anche per trattare la fibrillazione atriale che non può essere sottoposta ad ablazione perchè ci consente di applicare una ablazione solo al filo che unisce atri e ventricoli, in modo tale da isolare gli atri dai ventricoli e lasciare che la fibrillazione rimanga negli atri salvaguardando i ventricoli, la parte più nobile del cuore. Il defibrillatore viene inserito sotto la cute con un intervento molto semplice in anestesia locale”. 



 

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