La
Risonanza Magnetica Fetale è un’indagine diagnostica strumentale di terzo livello. Si utilizza, infatti, in caso di
dubbi sul regolare sviluppo del feto negli screening in gravidanza. Ripetibile e non invasiva (senza radiazioni né sedazione o mezzi di contrasto), permette in particolare di studiare o escludere
eventuali anomalie del sistema nervoso del feto in utero, ma anche patologie che interessano collo, torace, apparato gastroenterico, apparato uro-genitale e cuore. La finestra ideale per l’esecuzione è tra la 19esima e la 22esima settimana, dopo l’ecografia morfologica.
Di come si è evoluto fino a oggi l’esame abbiamo parlato con il
dottor Maurizio Resta, radiologo dell'ambulatorio di
Diagnostica per Immagini di
D’Amore Hospital a Taranto, che ha eseguito per la prima volta presso la struttura pugliese l’indagine nel 2016.
Risonanza Magnetica Fetale: evoluzione
All’inizio dell’utilizzo della Risonanza Magnetica,
nei primi anni ’90, avere a disposizione uno
strumento diagnostico non lesivo per il prodotto del concepimento, esattamente come era avvenuto per gli ultrasuoni (ecografia), ha fatto nascere negli specialisti in Diagnostica per immagini l’idea di usare l’RM in gravidanza. All’epoca i maggiori problemi tecnici erano costituiti, però, dall’eccessiva lunghezza delle sequenze RM e dalla necessità dell’immobilità, impossibile da imporre al feto.
Questo non ha arrestato la
ricerca. Per primi in Inghilterra, ma quasi contemporaneamente anche in Italia, nell’Università di Bari, si è concretizzato un
percorso di ricerca congiunto di Neuroradiologia, guidato proprio dal dott. Resta,
e di Ginecologia, grazie al prof. Vincenzo D’Addario, fra i massimi esperti nazionali e internazionali nella diagnostica prenatale con l’uso dell’ecografia. I risultati delle immagini sono stati per la prima volta paragonabili a quelli anatomici, ma non è stato possibile proporre l’uso diagnostico della RM Fetale su vasta scala.
Era, infatti, necessaria una
procedura invasiva preliminare per ottenere l’immobilità del feto, una puntura eco-guidata del cordone ombelicale per iniettare endovena un farmaco anestetico in grado di paralizzare momentaneamente il feto, farmaco simile al curaro.
Le innovazioni
A cavallo del millennio,
due innovazioni hanno segnato la svolta in questo percorso. In ecografia i macchinari a ultrasuoni furono perfezionati grazie alle sonde transvaginali e all’elaborazione 3D delle immagini. Parallelamente, il progresso delle sequenze di impulso in RM ha messo a disposizione dei tecnici fasi d’esame di poche decine di secondi.
Il feto continuava a muoversi, ma lo si poteva cogliere in brevi momenti di immobilità, e le immagini ottenute erano di alta qualità. Tuttavia l’utilizzo della RM Fetale ha dovuto confrontarsi in quel momento con la diagnostica a ultrasuoni, con risultati sempre più definiti, minimamente costosa e di estrema facilità di accesso.
La RM fetale è diventato un esame di nicchia di terzo livello nelle mani di grandi esperti, soprattutto nel campo encefalico e cardiaco.
Lo scenario odierno
I più grandi
esperti di diagnostica prenatale ecografica sono generalmente ginecologi, che svolgono l’attività fra sale operatorie, sale parto e laboratori di ecografia, dove hanno allargato la conoscenza alle patologie, soprattutto malformative, dei diversi apparati. Alcuni si sono dedicati prevalentemente a questo difficile ruolo, diventando riferimento per la cosiddetta ecografia morfologica. Accade anche, però, che questi specialisti chiedano il
supporto del neuroradiologo o dell’esperto di RM Fetale Cardiaca.
Sul territorio nazionale
sarebbe sicuramente necessario un centro di RM Fetale per ogni grande ospedale, universitario e non, per i presupposti di sviluppo scientifico della metodica, e uno per i più importanti ospedali privati convenzionati con il SSN per coprire la domanda, per quanto ristretta, della diagnostica prenatale, quando questa si presenti particolarmente complessa.