Secondo i dati del Ministero della Salute sono
230 mila le persone affette dal Morbo di Parkinson, con una frequenza due volte maggiore negli uomini rispetto alle donne. E’ una patologia neurodegenerativa, progressiva, cronica,
colpisce le cellule nervose della sostanza nera del sistema nervoso centrale che producono livelli più bassi di dopamina. Rallentamento dei movimenti (bradicinesia, o ipocinesia), instabilità posturale, tremore, rigidità muscolare sono i sintomi principali.
Il
Dottor Alfonso Mastropietro, specialista in neurologia responsabile del
Reparto di Neuropsicogeriatria della
Clinica Santa Caterina da Siena, Torino, ci spiega come si arriva a una diagnosi definitiva di Parkinson e come impostare il piano terapeutico più adatto al paziente.
Quali sono le innovazioni che possono portare a una diagnosi precoce del Parkinson?
Il Parkinson è una patologia eterogenea e complessa,
per effettuare una diagnosi la più precisa possibile è importante la valutazione anamnestica e l’esame clinico effettuata dallo specialista neurologo. Successivamente alla visita neurologica, per confermare la patologia e per escludere altre possibili cause (vascolari o tumorali), sono di supporto gli esami strumentali di neuroimaging come la Risonanza magnetica, la PET e soprattutto la SPECT con DATSCAN. Questa nuova metodica di immagine funzionale (DATSCAN) è in grado di
rilevare o escludere la compromissione del sistema dopaminergico anche se la patologia è ad uno stadio precoce. L’esame consiste nella somministrazione, per via endovenosa, di un tracciante radioattivo e nell’acquisizione di scansioni cerebrali con apparecchi SPECT. Nei casi di Parkinson idiopatico e nei parkinsonismi veri evidenzierà una alterazione dei livelli di dopamina
Quali sono terapie farmacologiche d'elezione per tenere sotto controllo, negli anni, i sintomi?
Ad oggi,
la terapia è sintomatica perché non si può andare a influenzare i meccanismi del danno neuronale. Insieme al neurologo, si concorda con il paziente per il trattamento più appropriato in base ai sintomi e alle sue esigenze specifiche. Se la patologia può essere gestita con la terapia farmacologica, si ricorre ai farmaci antiparkinsoniani, uno dei principali è la Levodopa, da assumere per via orale,
aumenta il livello di dopamina che raggiunge il cervello o stimola le regioni cerebrali, dove agisce questo neurotrasmettitore. Questo farmaco
attenua la rigidità muscolare, il tremore e migliora, anche, il movimento. I MAO-B inibitori (selegilina, rasagilina e safinamide) agiscono sul metabolismo dopaminergico, in associazione alla Levodopa riducono sia i sintomi motori sia quelli non motori come ansia, disturbi dell’umore, del sonno e svolgono persino un’azione neuroprotettiva. I COMT-inibitori sono in grado di allungare l’emivita della Levodopa cioè di aumentarne la permanenza nel sangue. Ovviamente la risposta alla terapia è individuale pertanto, i farmaci, devono essere prescritti in base alla compromissione funzionale del paziente, a eventuali comorbidità e all’età.
Quali alternative per le forme resistenti ai farmaci?
Quando la terapia farmacologica è intervenuta inefficacemente per mancata risposta individuale del paziente si
interviene chirurgicamente con la stimolazione cerebrale profonda. Questa procedura consiste nell’ impiantare dei piccoli elettrodi in determinati punti del cervello, esattamente nel nucleo subtalamico o globo pallido e un dispositivo analogo a un pacemaker cardiaco, posizionato, in modo non visibile, sottopelle, a livello dell’addome o della clavicola. Questo
invia degli stimoli elettrici agli elettrodi riducendo i caratteristici sintomi motori che compromettono la qualità della vita. Questa tecnica è consigliata a soggetti relativamente giovani, non compromessi cognitivamente, con patologia avanzata e severi effetti indesiderati dalla terapia farmacologica.
Recentemente sono stati utilizzati gli
Ultrasuoni focalizzati (FUS) che, attraverso la generazione di calore, causano una lesione nell’area da disattivare, per identificare la zona si utilizza la Risonanza Magnetica, questo trattamento, non chirurgico e non invasivo, serve soprattutto per ridurre il tremore.
Inoltre è indispensabile la
riabilitazione basata su diversi tipi di fisioterapia a seconda della gravità dei sintomi e dello stato di salute generale del paziente, l’eventuale presenza di comorbidità in pazienti anziani e fragili. Fondamentale è poi il
supporto psicologico al paziente e ai suoi familiari per garantire quella serenità necessaria ad affrontare una patologia che coinvolge non solo il corpo ma anche la psiche e per valutare e alleviare eventuali problematiche psichiche legate alla patologia ma anche agli effetti collaterali dei farmaci, come la depressione o alcune forme di psicosi. E importante prendersi carico del paziente per aiutarlo ad affrontare una patologia complessa e per offrirgli la miglior qualità di vita.
E’ possibile prevenire il Parkinson?
Sia nel Parkinson sia nelle demenze e, in particolare
in caso di familiarità, è consigliabile l’esecuzione di test sul DNA tramite prelievo di un tampone salivare. Il risultato permetterà di valutare, a livello genetico individuale, se esiste il rischio di poter contrarre la patologia. L’esame non è diagnostico, e non ne indica la presenza, ma solo il possibile rischio di svilupparla. Qualora vi sia positività , si può ricorrere a i
ntegratori, nootropi e nutraceutici che, silenziando alcuni geni affetti da piccole mutazioni, riducono il rischio di contrarre la patologia. Anche l’attività sportiva in genere, dalla ginnastica alla danza per il cervello può essere un’ottima prevenzione”.
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