Negli ultimi venti anni, in base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità e del Registro Italiano ArtroProtesi, si è osservata una crescita costante degli interventi di artroprotesi: in particolare, il numero di sostituzioni protesiche del ginocchio è raddoppiato negli ultimi 15 anni. La tendenza è dovuta in parte all’
incremento della longevità, che fa aumentare il numero dei pazienti candidati, dall’altra al
miglioramento delle prospettive e della qualità della vita.
L’intervento di protesi di ginocchio è caratterizzato da un
tasso di successo del 96%, spiega il
Dott. Andrea Mocci, Responsabile della Unità Operativa di
Ortopedia di
Anthea Hospital, a cui abbiamo chiesto a cosa è dovuto il restante 4% e come si interviene.
Dott. Mocci, cosa fare in presenza di problematiche post intervento?
Le complicanze possono portare a rigidità, infezioni, mobilizzazioni, ed è fondamentale - per evitare un peggioramento della situazione o un ulteriore insuccesso - comprendere la natura del problema e orientarsi correttamente verso una soluzione. Il primo quesito su cui concentrarsi è senz’altro
se si tratti di una problematica di natura meccanica o no.
Quali sono i problemi di natura meccanica alla protesi al ginocchio e come si interviene?
Tra le principali complicazioni di origine meccanica troviamo quelle legate al “sizing”, cioè al
dimensionamento della protesi, per cui quest’ultima risulta troppo rigida o troppo lassa. Esami radiologici, TC e una valutazione clinica dello specialista consentono di definire le dimensioni dell’impianto in rapporto alle dimensioni del ginocchio.
Un’altra eventualità meccanica è una non ideale integrazione delle componenti protesiche con l’osso. In tal caso gli esami radiologici sono in grado di rilevare le ombre intorno all’impianto caratteristiche di questa problematica e un esame scintigrafico, eseguito dopo almeno un anno, risulterà positivo.
Come si interviene in caso di problemi meccanici sulla protesi al ginocchio?
Nel caso dei problemi meccanici citati, si interviene con una revisione dell’impianto, ovvero con un secondo intervento con espianto della protesi e il posizionamento di un’altra a maggiore tenuta.
Quali sono i problemi non meccanici in cui è possibile incorrere?
La complicanza più temuta di un impianto protesico è non meccanica: si tratta dell’infezione, che ha l’1% di possibilità di verificarsi. Le tecniche di diagnosi di infezione protesica negli ultimi anni hanno conosciuto importanti innovazioni, soprattutto in seguito alla Consensus Conference di Philadelphia (2013), che ha sottolineato l’importanza del liquido sinoviale (il fluido che protegge le superfici delle articolazioni) e delle sue caratteristiche per una diagnosi di infezione. In caso di sospetta infezione, si procede indagando con sistemi colturali di batteri nel liquido e/o di percentuali di alcune cellule (percentuali globuli bianchi, percentuale di granulociti). Si tratta di un tipo di analisi di laboratorio avanzate, da eseguire presso strutture con attrezzature adeguate per arrivare alla diagnosi di infezione.
Come si procede una volta effettuata la diagnosi di infezione?
La procedura prevede un intervento in due tempi. Si procede prima con l’asportazione della protesi e il posizionamento di una
protesi temporanea con somministrazione di una
terapia antibiotica ad ampio spettro. Una volta identificato il germe specifico attraverso le colture in laboratorio, è possibile iniziare con una terapia antibiotica mirata. In un secondo tempo, una volta bonificato il territorio, viene effettuato un
nuovo intervento per asportare la protesi temporanea e impiantare una protesi di revisione.
La corretta conoscenza dei meccanismi di diagnosi è fondamentale per affrontare quello che per il paziente può essere un doppio trauma, dovendo ricorrere nuovamente alla chirurgia dopo il primo intervento.