Trattamento della fibrillazione atriale


Il cuore, se condizionato da un ritmo disorganizzato e irregolare si trova in una condizione molto delicata, la fibrillazione atriale, ma una terapia adeguata e tempestiva, può aiutare il paziente a limitarne l’impatto e ad essere riportato ad una condizione di normalità.
 

Il trattamento della fibrillazione atriale, a seconda delle condizioni del paziente e delle opportune verifiche mediche, può avvenire in diverse modalità.

La terapia della fibrillazione atriale può essere sia farmacologica - che chirurgica. Prima di stabilire come si cura la fibrillazione atriale, si procede ad una valutazione attenta del paziente che tiene conto del tipo di aritmia, del livello di gravità e dell’eventuale concomitanza con altre patologie cardiache.
 
A seconda della gravità, della durata e della modalità in cui si manifesta, la fibrillazione atriale si distingue in diverse tipologie.

Per "parossistica" si intende una forma improvvisa di aritmia e tende a fermarsi da sola. Ha un carattere transitorio, cioè a intermittenza, e può risolversi anche nell’arco di una settimana. Si distingue inoltre per una altissima frequenza: nei casi di fibrillazione atriale parossistica, il battito raggiunge un valore superiore a 140 battiti per minuto, contro la normale frequenza che si attesta tra i 60 e 100 battiti al minuto. Anche se la fibrillazione parossistica può rientrare da sola, è bene consultare comunque uno specialista, un aritmologo per la precisione, perché intervenire in ritardo può esporre a rischi e rendere più difficili le cure.
 
Esiste la possibilità di trattare la fibrillazione atriale con terapia farmacologica la quale include farmaci antiaritmici, betabloccanti, calcioantagonisti, anticoagulanti (quest’ultimi hanno l’effetto di allontanare il pericolo di ictus cerebrale), capaci di mantenere il ritmo cardiaco nella normalità. Vengono infatti impiegati farmaci antiaritmici in grado di modificare l’attività elettrica del cuore, determinata dagli ioni e la sua risposta agli stimoli, in modo da prevenire o interrompere le aritmie.
 
Altre volte il trattamento della fibrillazione atriale deve avvenire a base di farmaci diluenti del sangue (anticoagulanti) che riducono il rischio di coagulazione del sangue, abbattendo la probabilità che si verifichi un ictus cerebrale. In presenza di altri fattori di rischio (ipertensione, diabete mellito, scompenso cardiaco, età) i farmaci anticoagulanti saranno prescritti per tutta la vita.
 
In alcuni rari casi, se il rischio di ictus è molto basso o se gli episodi di fibrillazione atriale sono scomparsi del tutto, allora può essere possibile interrompere l'assunzione di farmaci.

La decisione su cosa fare in caso di fibrillazione atriale e quale farmaco sia il più appropriato per il paziente sarà presa a seguito di una discussione con lo specialista che valuterà il rischio individuale di ictus e il rischio di sanguinamento con il farmaco.

Quando la terapia farmacologica risulta inefficace, la fibrillazione atriale prevede un intervento che oggi può essere eseguito con tecniche avanzate e mininvasive che vanno a ripristinare il ritmo cardiaco regolare.

Per interrompere la fibrillazione atriale, si esegue la cardioversione elettrica o farmacologica.
 
La cardioversione farmacologica della fibrillazione atriale impiega farmaci che agiscono modificando le proprietà elettriche del cuore per ridurre i focolai che danno origine ad attività irregolare e facilitano il ritorno al ritmo regolare.
 
Nella cardioversione elettrica l’aritmologo, attraverso delle scosse elettriche, prova in sostanza a resettare il ritmo cardiaco e a farlo ripartire in maniera regolare.

Da un punto di vista tecnico, la cardioversione elettrica della fibrillazione atriale consiste nell’applicazione transtoracica di corrente continua sincronizzata con l’attività elettrica del cuore.
 
La cardioversione elettrica per fibrillazione atriale è la metodica più efficace: le percentuali di successo sono comprese tra il 70 e il 99% dei casi. Questo dipende da diversi fattori, quali le caratteristiche dei pazienti e la forma d’onda utilizzata per lo shock.
 
Le variabili cliniche che possono influenzare il risultato della cardioversione elettrica sono: durata della fibrillazione atriale, la presenza di altre cardiopatie, le dimensioni dell’atrio sinistro, la proteina C reattiva ad alta sensibilità e la sindrome delle apnee notturne.

Alla cardioversione elettrica sono candidati i seguenti pazienti:
 
  • pazienti con fibrillazione atriale persistente associata a grave compromissione emodinamica, per la quale non è sufficiente la cardioversione farmacologia
  • pazienti con fibrillazione atriale persistente di durata superiore ai sette giorni, nei quali si ritenga indicato il ripristino del ritmo sinusale
  • pazienti con fibrillazione atriale persistente di durata inferiore a sette giorni, in alternativa al trattamento farmacologico
  • pazienti con frequenza cardiaca particolarmente elevata con sintomi gravi
  • pazienti in trattamento cronico con farmaci antiaritmici
 
La cardioversione elettrica si svolge in ambiente ospedaliero e impiega piastre speciali che si applicano sul torace, una davanti e l’atra dietro (o in alternativa, entrambe le piastre si applicano anteriormente). Le piastre sono collegate a un defibrillatore esterno per mezzo di un cavo. Il defibrillatore permette al cardiologo di monitorare continuamente il ritmo cardiaco e di erogare lo shock elettrico per ripristinare il normale ritmo cardiaco.
 
Prima di eseguire la cardioversione elettrica, si valuta il rischio formazione di coaguli e si opta per l’anticoagulante più appropriato. Nei pazienti con fibrillazione atriale la cardioversione elettrica deve essere eseguita solo quando il flusso sanguigno è regolare per ridurre il rischio di trombo embolie: in genere servono 3-4 settimane.

Al contrario, nei pazienti in cui l’aritmia è comparsa da meno di 48 ore, la cardioversione elettrica può essere eseguita senza anticoagulazione preventiva, in quanto i coaguli hanno bisogno di più tempo per formarsi.
Oltre alla cardioversione della fibrillazione atriale, è possibile procedere all’impianto di un pacemaker, specie nei pazienti che presentano la malattia del nodo del seno (quando cioè la struttura anatomica che genera gli impulsi elettrici del cuore non funziona a dovere).
 
Il pacemaker è un dispositivo inserito nel torace, finalizzato a regolare o a stimolare il ritmo cardiaco, in particolare modificando quelle condizioni di bradicardia (battito lento) generate da:
 
  • Disfunzione del nodo del seno
  • Blocco atrio-ventricolare
  • Blocco di branca
 
Nei casi in cui invece il ritmo del cuore è troppo veloce, per il trattamento della fibrillazione atriale potrebbe essere impiantato un defibrillatore tramite intervento.
 
Il defibrillatore impiantabile è un dispositivo inserito nel torace ed è principalmente rivolto a quei pazienti che soffrono di forme sostenute di tachicardia ventricolare o che abbiano già avuto episodi di arresto cardiaco.
 
Il defibrillatore impiantabile consente a questi pazienti di guardare con maggior tranquillità ad eventuali episodi di tachicardia, e di vedere incrementate le loro opportunità di sopravvivenza. Il defibrillatore è usato utilmente anche in alcuni pazienti con pregresso infarto e varie forme di cardiomiopatia. Va però precisato che non tutti i pazienti con aritmie tachicardiche hanno necessità di questo dispositivo.

L’ablazione della fibrillazione atriale è un’altra procedura possibile per il trattamento non-chirurgico relativamente non-invasivo della patologia che richiede l’inserimento di elettrocateteri -sottili e flessibili nei vasi sanguigni dell’inguine. L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale avviene con l’aiuto della fluoroscopia, tecnica radiologica che fornisce immagini continue dei cateteri e dei tessuti.
 
L'ablazione della fibrillazione atriale viene impiegata per quelle forme che scaturiscono da anomali input elettrici originati nelle vene polmonari. L’area da cui partono gli impulsi difettosi viene bloccata (isolata elettricamente) tramite l’utilizzo di fonti d’energia a caldo estremo o freddo estremo somministrate in punti precisi con speciali dispositivi (cateteri) inseriti nel cuore partendo dalle vene delle gambe.

L’ablazione transcatere della fibrillazione atriale prevede l’inserimento di un dispositivo in un vaso sanguigno, normalmente in zona inguinale, e quindi il suo avanzamento lungo la vena fino alle cavità cardiache. Alla sommità del catetere è posta una piccola punta metallica in grado di liberare energia a radiofrequenza. L’effetto ottenuto è la “cicatrizzazione” di una ristretta area cardiaca, dove origina il meccanismo della tachicardia. La distruzione di quelle cellule anomale che generano l’aritmia riporta il battito cardiaco alla normalità. L’intervento di ablazione per fibrillazione atriale è programmato sempre dopo uno studio elettrofisiologico intracardiaco che individua l’area responsabile dell'aritmia.
 
Quando l’operatore raggiunge l’area responsabile della fibrillazione atriale, viene erogata corrente a radiofrequenza con l’obiettivo di ottenerne l’abolizione. Il paziente, in questo momento, può avvertire alcuni sintomi tra cui palpitazioni o dolore toracico. Quando “l’ablazione” del tessuto è completata il catetere viene rimosso. In relazione alla complessità della procedura, l’intervento può richiedere dalle 2 alle 4 ore. La guaina in cui è stato inserito il catetere viene rimossa subito dopo l’intervento con l’utilizzo di un dispositivo emostatico compressivo.
 
La procedura di ablazione transcatetere della fibrillazione atriale può eliminare l’aritmia in una percentuale molto alta di casi che va dal 75 al 90%.
 
Tuttavia anche se minime ed estremamente rare, lablazione della fibrillazione atriale può avere complicanze quali:
 
• Danni alla parete cardiaca
• Danni alle valvole cardiache
• Embolia o attacco cardiaco
• Ematomi in sede di inserimento dei cateteri
 
Oggi è possibile procedere all'ablazione della fibrillazione atriale anche con tecnica non fluoroscopica (senza raggi x) che consente la navigazione e il mappaggio intracardiaco al fine di identificare il punto esatto in cui originano i ritmi patologici, visualizzando il cuore tridimensionalmente. I sistemi in uso permettono di creare una mappa completa del cuore e dei suoi circuiti elettrici, rendendo più sicura l’esecuzione delle procedure di ablazione trans catetere per la fibrillazione atriale, di limitare l’esposizione alle radiazioni e, allo stesso tempo, di analizzare in dettaglio le aritmie particolarmente complesse.


La crioablazione

Oggi in centri all’avanguardia nel trattamento della fibrillazione atriale, come il Dipartimento di Aritmologia ed Elettrofisiologia di GVM Care & Research, è molto diffusa la procedura della crioablazione. Oltre agli interventi classici che impiegano la radiofrequenza (energia calda), è stata introdotta questa innovativa tecnica di ablazione per fibrillazione atriale che utilizza come energia il freddo.  
 
La tecnica consiste nell’introduzione di una guida nella vena polmonare su cui viene fatto scorrere un palloncino gonfiabile. Una volta posizionato il palloncino nell’antro di una vena polmonare, lo stesso viene gonfiato e spinto fino a “tappare” l’antro della vena.

A questo punto, il palloncino viene ghiacciato a temperature di -40°/-50° per 4 minuti. Lo scopo è di creare una lesione circonferenziale isolando la vena polmonare. Il procedimento viene poi ripetuto, se necessario, per tutte le quattro vene polmonari.

A parità di efficacia rispetto alle tecniche classiche di ablazione atriale con radiofrequenza, la crioablazione sembra avere una serie di vantaggi. La crioablazione blocca ed elimina il disturbo elettrico anomalo che ha più punti d’origine all’interno delle 4 vene polmonari, isolandole (attraverso una vera e propria ghiacciatura) rispetto all’atrio.
 
Mentre nella ablazione della fibrillazione atriale serve grande abilità da parte dell’operatore e possono insorgere forme di aritmia iatrogena, cioè aritmie indotte involontariamente, nella crioablazione le aritmie iatrogene sono pari allo zero e la sedazione del paziente è meno profonda.
 
L’energia fredda (la temperatura media varia dai -40 ai -45 gradi) impiegata per l’ablazione della fibrillazione atriale viene somministrata in maniera più omogena grazie all’impiego di un dispositivo a forma di palloncino, del diametro di circa 30 millimetri, introdotto dall’atrio sinistro del cuore in corrispondenza delle vene polmonari (4) allo scopo di ottenere cicatrizzazioni uniformi, costanti, senza i possibili inconvenienti correlati alla manualità. Per isolare elettricamente ogni vena polmonare servono circa 4 minuti.
 
Nella fibrillazione atriale parossistica l’ablazione con crioablazione sembra, da studi pubblicati, riportare risultati migliori specie nei pazienti giovani; la procedura d’intervento, poi, ha tempi dimezzati, grazie a una tecnica più semplice e minori complicanze. Da non sottovalutare, infine, la minor esposizione radiologica del paziente.
 
La crioablazione è dunque efficace e sicura quanto la radiofrequenza e non inferiore per numero/ percentuale di successi all’utilizzo dell’energia calda: nata come presidio per la fibrillazione atriale parossistica, l’ ablazione con questa metodica si sta progressivamente estendendo al trattamento per la fibrillazione atriale di tipo persistente, cioè il disturbo del ritmo con durata superiore ai 7 giorni.
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