Infarto

L’infarto, o sindrome di Kesperek, si verifica a seguito di ischemia ovvero di un insufficiente apporto di sangue (e quindi di ossigeno) al tessuto di un organo, tale da provocare una necrosi, cioè la morte di quella porzione di tessuto.

Sono diversi i tipi di infarto (cerebrale, intestinale, polmonare...) ma nel linguaggio comune ci si riferisce solitamente a quello del miocardio e cioè del muscolo del cuore.
 
Si tratta di uno dei più gravi eventi cardiovascolari e ogni anno in Italia interessa 140 mila persone: fortunatamente, se trattato tempestivamente i due terzi di chi ne è colpito può tornare alla propria vita (leggi qui). Poiché un terzo dei casi di infarto risulta fatale, la prevenzione e la diagnosi che permettano di scoprire la presenza di eventuali “difetti cardiovascolari” sono fondamentali. Allo stesso modo, eseguire esami diagnostici che calcolano il rischio cardiovascolare permettono di poter correggere un eventuale stile di vita errato e di proteggere la salute del cuore.
 
Uno dei principali fattori di rischio per l’infarto è l’età. Fino a poco tempo fa, si riteneva inoltre che anche il sesso fosse una discriminante in quanto le statistiche rilevavano che ad esserne maggiormente colpiti erano gli uomini over 50. L’infarto attualmente sta interessando in maniera crescente anche le donne, soprattutto nella fase post menopausa e in quelle con abitudine al fumo di sigaretta
 
Nella maggior parte dei casi la causa di un infarto è dovuta alle coronarie ostruite. Questi grossi vasi che si occupano di irrorare il sangue al cuore possono presentare una placca aterosclerotica che blocca il flusso sanguigno. Le placche provocano una lesione nell’arteria che causa la formazione di un trombo, cioè un coagulo di sangue, che può aumentare di dimensioni, tale da impedire parzialmente o totalmente il libero flusso del sangue fino al cuore. Senza adeguato nutrimento, il tessuto del muscolo cardiaco muore, formando una cicatrice.

Quando tale ostruzione è totale e acuta, si verifica quello che i medici definiscono infarto acuto o anche
infarto miocardico acuto, un evento più grave rispetto all’infarto causato da ostruzione parziale. In questo caso la tempestività nel chiamare i soccorsi, appena si sente il dolore al torace e al braccio, è fondamentale.

L’infarto acuto del miocardio è caratterizzato, infatti, da dolore intenso che dal centro del petto può irradiarsi fino a spalla, braccio, schiena, stomaco e persino viso. Per tutta la durata del dolore si possono manifestare difficoltà respiratoria, sudorazione, nausea, vomito e mancanza di fiato; nelle donne si possono verificare anche svenimenti e vertigini. Ci possono essere casi in cui l’infarto del miocardio acuto si presenta senza sintomi, o con sintomi talmente lievi che non vengono ricondotti alla patologia cardiaca.
 
Quando si fa riferimento alle patologie che interessano il cuore, si tende a fare confusione fra alcune terminologie:
 
  • Angina pectoris e infarto: si tratta di due quadri diversi. L’angina pectoris termine latino che si traduce in “dolore al petto” -  è una patologia caratterizzata appunto da un dolore acuto che si irradia al torace e si verifica a causa di un insufficiente afflusso di sangue al cuore, ma temporaneo e non così grave da causare una necrosi. Il fenomeno è quindi un’ischemia ma reversibile in quanto non crea un danno al cuore permanente. Tale condizione può manifestarsi sia in seguito a uno sforzo che a riposo ed è fondamentale compiere accertamenti medici in quanto segnale di aumentato rischio di morte improvvisa o di infarto.
  • Arresto cardiaco e infarto: entrambe sono eventi cardiovascolari molto seri che richiedono un intervento tempestivo di personale medico. Si parla di arresto cardiaco quando il cuore smette di battere e quindi anche di pompare il sangue al resto del corpo. Tale condizione può avere molteplici cause e può portare a morte entro pochi minuti. L’infarto, nei casi più gravi può essere una delle cause che provoca arresto cardiaco.
  • Ischemia cardiaca e infarto: l’ischemia si verifica in seguito a minor apporto di sangue e di ossigeno al cuore, a causa solitamente del restringimento di un’arteria coronarica, e il suo maggior sintomo è l’angina pectoris; se il restringimento si prolunga nel tempo, può sfociare in un infarto. Come distinguerli? Se l’angina dura meno di 30 minuti, in genere si tratta di ischemia: aumenta sotto sforzo e scompare a riposo. Se, invece, il dolore – che è più intenso, ma può essere anche intermittente e variabile, rispetto all’ischemia – dura oltre i 30 minuti si è in presenza di infarto. In ogni caso, è bene non aspettare, ma chiamare tempestivamente i soccorsi.

I più comuni sintomi di infarto sono:
  • dolore intenso al centro del petto, che può estendersi a spalla, braccio, schiena, stomaco e viso,
  • senso di oppressione al torace,
  • sudorazione fredda,
  • mancanza di respiro,
  • nausea e vomito,
  • svenimento,
  • malessere generale.
Il dolore si definisce precordiale quando si manifesta nel torace in prossimità del cuore, oppure retrosternale, quando viene avvertito nel torace dietro allo sterno. Da qui può espandersi fino a raggiungere le vene del collo e della gola, la colonna vertebrale, le braccia e lo stomaco.
 
Si può verificare anche un infarto asintomatico, detto “infarto silente” ed è più frequentemente riscontrato nei soggetti che presentano diabete, negli anziani e in coloro che hanno subito un trapianto di cuore. In queste tipologie di soggetti diventa fondamentale la prevenzione per tenere sotto controllo il rischio cardiovascolare.
 
Negli ultimi anni, complice una vita piena di stress e sentimenti forti, come nervoso o ansia, si è coniato il termine infarto da stress: è indubbio che questi fattori abbiano un ruolo importante nello sviluppo della malattia. Una ricerca della McMaster University su ciò che hanno fatto 12 mila persone il giorno e le ore prima di avere un infarto, ha messo in evidenza che sforzo fisico, stress e ira sono tra i fattori più determinanti insieme a fumo di sigaretta, colesterolo e pressione alta, diabete, obesità vita sedentaria e alimentazione povera di nutrienti. Stress e rabbia possono infatti alterare la frequenza cardiaca e aumentare la pressione sanguigna, riducendo, allo stesso tempo, l’afflusso di sangue al cuore: se le coronarie sono ostruite, possono portare a infarto.
 
I sintomi prima di un infarto sono simili fra uomo e donna? In genere il campanello d’allarme principale è il dolore al torace e al braccio negli uomini, mentre nelle donne può presentare delle caratteristiche anche molto diverse ed essere scambiato per un malessere di lieve entità. Ma è proprio la mancanza di tempestività a essere fatale, tanto che il 55% delle donne muore in seguito a infarto, contro il 43% degli uomini.

Mentre fino a qualche anno fa si pensava che l’infarto fosse un problema tipicamente maschile, i dati dimostrano che le patologie cardiovascolari sono la prima causa di mortalità nelle donne, ma mentre negli uomini i sintomi sono ormai noti e tenuti in considerazione fin dalla loro insorgenza, per cui la richiesta dei soccorsi è immediata, nelle donne tali sintomi non vengono tenuti in considerazione, motivo per cui, spesso, gli aiuti arrivano quando è troppo tardi.

L’infarto nelle donne ha una intensità minore; inoltre, sebbene si possa manifestare anche con dolore al petto e al braccio, più di frequente è accompagnato da:

  • dolore addominale alla bocca dello stomaco o alla schiena;
  • difficoltà respiratoria e sudorazione;
  • ​spossatezza che non è dovuta a sforzo fisico.
Altri sintomi non specifici che possono indicare un infarto in corso sono: insonnia, dispnea - respiro corto e affannoso - nausea e vomito.

I diversi sintomi dell’infarto nelle donne e la diversa intensità si spiega con il fatto che le coronarie e il cuore sono più piccoli rispetto a quelli degli uomini: questo però provoca anche un ritardo nella diagnosi della malattia che spesso diventa fatale.

L’infarto femminile si manifesta più di frequente dopo la menopausa, a causa della diminuzione della produzione di estrogeni, ormoni femminili che proteggono il cuore; con la loro diminuzione, aumenta il rischio cardiovascolare. Per gli uomini, invece, la fascia di età più “pericolosa” di avere un infarto è quella dai 40 ai 50 anni.

Anche nelle donne i fattori di rischio tra i quali l’abitudine al fumo di sigaretta, lo stile di vita e la prevenzione giocano un ruolo importante nella prevenzione della malattia, per cui è bene consultare il proprio medico in presenza dei fattori che ne favoriscono l’insorgenza.

Fra le cause principali di infarto c’è l’occlusione temporanea, parziale o totale, di una delle due arterie coronariche, che causa un ridotto afflusso di sangue e ossigeno al cuore (il termine medico è ischemia al cuore) che, con il tempo, causa una lesione all’arteria stessa. L’occlusione si manifesta quando si forma un coagulo, detto anche trombo, come conseguenza dell’aterosclerosi, cioè la malattia che si sviluppa quando, all’interno dei vasi sanguigni, si creano delle placche di grasso di colesterolo e altre sostanze che impediscono il libero flusso del sangue.

Spesso l’infarto ha cause anche in altre patologie, come la presenza di coaguli del sangue, che si creano quando la placca in vaso subisce un parziale distacco e ostruisce il passaggio del sangue, l’ictus o l’embolia polmonare (l’interruzione del flusso dovuta alla presenza di una ostruzione). 
Più raro è l’infarto causato da una malformazione coronarica, che provoca il restringimento del lume del vaso sanguigno e la formazione di un trombo.

Una delle cause più frequente nell’infarto femminile è la sindrome di Takotsubo, che provoca infarto dopo un forte stress emotivo. In tale condizione, l’infarto coinvolge l’apice del cuore (la “punta” bassa), senza che vi sia una malattia coronarica in atto: in altre parole, pur avendo le coronarie sane, il cuore subisce un infarto.

Nelle persone che fanno uso di droghe pesanti, l’infarto può essere provocato da una contrazione violenta dell’arteria coronarica, che provoca l’interruzione del flusso sanguigno al cuore.
A parte le cause, esistono anche dei fattori di rischio che predispongono alla malattia e sono:

  • colesterolo e trigliceridi elevati,

  • pressione alta,

  • diabete,

  • fumo,

  • alimentazione ricca di grassi e troppo calorica,

  • sovrappeso e obesità,

  • alcol in eccesso,

  • uso di droghe,

  • vita sedentaria,

  • casi di infarto in famiglia,

  • età,

  • stress.
     

La maggior parte delle diagnosi dell’infarto avviene in Pronto Soccorso, a seguito della manifestazione dei sintomi elencati sopra che fanno sospettare che il cuore possa essere in sofferenza.

I medici del Pronto Soccorso, oltre a eseguire una attenta anamnesi del paziente, per capire quali cause possono aver contribuito alla patologia, eseguono un elettrocardiogramma (un esame diagnostico che registra il ritmo e l’attività elettrica del cuore) e le analisi del sangue, in cui viene ricercata la presenza di uno specifico marker che indica che si è verificato un danno al cuore. All’ingresso al Pronto Soccorso, infatti, viene determinata nel sangue del paziente una particolare proteina, chiamata troponina. Le analisi del sangue vengono ripetute almeno una paio di volte a distanza di 6 ore: livelli di troponina alti, confermano l’avvenuto infarto.

A seconda delle condizione di salute del paziente, nel sospetto di una patologia coronarica senza segni di rialzo della troponina,  il medico può richiedere anche:

  • radiografia al torace;
  • ecografia;
  • test da sforzo;
  • scintigrafia (che valuta lo stato delle coronarie e quanto è il irrorato il cuore).
 
La prevenzione però è fondamentale per limitare la comparsa di un infarto, in particolare per chi presenta già cardiopatie congenite o valvulopatie, oppure che sia a rischio per stile di vita o familiarità.
 
In questi casi tenere sotto controllo lo stato di salute del cuore fa la differenza. Si può iniziare intorno ai 40 anni con un'accurata visita cardiologica con ECG (Elettrocardiogramma) e successivamente, su indicazione medica si possono effettuare ulteriori approfondimenti come: 
  • Elettrocardiogramma sotto sforzo
  • Holter (in genere monitoraggio di 24-48 ore)
  • Ecografia cardiaca (ecocardiogramma)
  • Ecocolordoppler
  • Ecografia transesofagea. 

 
Si può inoltre eseguire l’esame TC per Calcium Score Index + ECG per valutare lo stato di salute del cuore. Consente infatti in un unico esame di monitorare il rischio di incorrere in patologie coronariche nei successivi 5 anni valutando la quantità di calcio nelle coronarie e la regolarità del battito cardiaco. Si tratta di un esame veloce, indolore e senza mezzo di contrasto.

Nel caso si manifestino dolori sospetti, la tempestività è fondamentale, dato che l’infarto è ancora una malattia mortale: più tardi si interviene, maggiori sono i rischi.

Al paziente con infarto in corso vengono somministrati farmaci trombolitici in grado di sciogliere gli eventuali coaguli di sangue che bloccano il normale afflusso verso il cuore. Possono inoltre essere somministrati antiaggreganti e anticoagulanti per prevenire un nuovo infarto.
 
Accertata la diagnosi di infarto viene eseguito prima possibile un intervento: l’angioplastica coronarica che serve per dilatare il vaso sanguigno ostruito e ripristinare il normale flusso di sangue al cuore. L’intervento prevede l’inserimento di un catetere di gomma nell’arteria radiale (si trova nel polso), che viene fatto scorrere fino alla coronaria ostruita: qui un filo sottilissimo di metallo su cui viene fissato un palloncino, attraversa l’ostruzione e viene gonfiato in modo da permettere la dilatazione della vena. Un secondo palloncino, inserito con l’aiuto di uno stent, permette di tenere la vena dilatata.
 
Questo tipo di intervento, chiamato angioplastica primaria, è una procedura mininvasiva, che permette di salvare la vita del paziente colpito da infarto. Fondamentali sono i tempi: l'angioplastica nell’infarto è determinante se viene effettuata entro sei ore dalla comparsa dei sintomi; allo stesso modo anche i tempi di durata di tale intervento sono brevi in modo da evitare che il danno al cuore diventi irreversibile.
 
Se non è possibile eseguire l’angioplastica, viene impiantato un bypass coronarico, che crea un percorso alternativo per il passaggio del sangue, grazie a un canale di collegamento fra l’aorta e la coronaria ostruita.
 
Il paziente dovrà poi seguire una terapia post infarto, a base di farmaci, come anticoagulanti e antiaggreganti che impediscano la formazione di nuovi coaguli, e di betabloccanti che riducono il rischio di morte nell’immediato periodo successivo all’infarto. Fra i farmaci per infarto più comuni ci sono anche gli ACE inibitori che prevengono l’insorgenza di insufficienza cardiaca, nel caso in cui il danno al cuore sia esteso, e anche statine se i livelli di colesterolo sono elevati.
 
Il trattamento per l’infarto prevede anche di adottare uno stile di vita che salvaguardi la salute del cuore, quindi con un’alimentazione variata ricca di vitamine e nutrienti, una leggera attività fisica che permetta di perdere eventuali chili di troppo, smettere di bere e di fumare oltre a cercare di evitare eventi traumatici.
 

Le informazioni contenute nel Sito, seppur validate dai nostri medici, non intendono sostituire il rapporto diretto medico-paziente o la visita specialistica.

Le Strutture Sanitarie che accertano o curano questa patologia

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