Questa è la domanda che si pone qualunque paziente: di tumore al seno maligno si muore? La risposta non è univoca e dipende sempre dalla situazione di partenza. Più il tumore al seno viene rilevato in uno stadio precoce ed è quindi di piccole dimensioni, più è facile affrontarlo senza intaccare i tessuti circostanti. Sconfiggere il triplo negativo è più complicato, in quanto non sono presenti i recettori in genere utilizzati come bersaglio per la terapia. Se poi la paziente è molto giovane, spesso è presente la
mutazione dei geni BRCA, fattore che concorre a rendere il tumore più aggressivo. A oggi, nuovi studi si stanno focalizzando sugli effetti positivi dell’immunoterapia su questa forma particolarmente maligna di tumore.
In genere, quando si tratta di carcinoma mammario metastatico, dopo la chemio-ormonoterapia la sopravvivenza media a 5 anni è intorno al 22% : una cifra in crescita, grazie anche alla sempre maggiore diagnosi precoce. A circa il 70% delle donne con tumore al seno viene somministrata una
terapia ormonale: molti di questi tumori hanno sulla superficie cellulare recettori per estrogeni e/o progesterone, che possono fungere da bersaglio durante la terapia. La sua influenza sul tasso di sopravvivenza e sul rischio di ricaduta è positiva, ma la terapia ormonale per tumore al seno dà effetti collaterali? In alcuni casi possono verificarsi ispessimento dell’endometrio, maggiore rischio di trombosi, aumento dei trigliceridi, dolori osteoarticolari, aumento di peso, vampate di calore, insonnia, sbalzi d’umore. Ecco perché è importante monitorare costantemente la qualità di vita delle pazienti.
La quasi totalità delle donne con cancro al seno deve sottoporsi a un’operazione chirurgica. Sulla base della situazione, il chirurgo ha a disposizione diverse modalità d’intervento:
- quadrantectomia della mammella, una tecnica conservativa che prevede la sola asportazione del tessuto interessato dalla neoplasia, salvando così la mammella. In seguito, la paziente deve seguire un ciclo di radioterapia per scongiurare la comparsa di recidiva o di una nuova massa tumorale. Questo tipo di procedura ha la medesima efficacia dell’asportazione radicale, se il tumore si trova in uno stadio iniziale
- mastectomia parziale o segmentale, durante la quale si rimuove più di un quadrante della mammella
- mastectomia radicale modificata, in cui si asporta l’intera mammella, il linfonodo sentinella (quello da cui è più probabile che il tumore si espanda altrove) e i linfonodi dell’ascella
- mastectomia con conservazione dell’areola e del capezzolo (nipple sparing): si asporta la mammella e si conservano la pelle e il complesso areola-capezzolo
In seguito all’operazione, conservativa o meno,
si ricostruisce il seno e si procede a un’analisi istologica e biologica, con l’obiettivo di definire la giusta terapia. Non sempre ad esempio
chemioterapia e radioterapia sono necessarie. La chemioterapia può rivelarsi utile anche prima dell’intervento chirurgico, poiché contribuisce a rendere il tumore più piccolo e meno aggressivo. Vi è poi un caso particolare di intervento chirurgico:
- mastectomia bilaterale, detta anche doppia mastectomia, in cui la paziente è una donna sana che però si trova ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno, come nel caso di mutazioni patogenetiche dei geni BRCA. Una forma di prevenzione radicale che però non elimina del tutto le possibilità della formazione di una neoplasia